Si fece trovare in una posa plastica. Una luce perfetta, quella da riposino pomeridiano. Seduto su una sedia, con mano destra appoggiata al bastone e piede destro che spuntava da sotto il tavolino, leggermente verso l’esterno. Era un po’ verso il riposo eppure pronto ad alzarsi e discutere.
Antonino Buttita, il maestro, ci ha lasciati oggi all’età di 83 anni.
Antropologo, strutturalista, studioso della tradizioni popolari, un amante sincero della Sicilia. L’ho incontrato per qualche ora nel suo studio. Uno spazio che chiedeva tutta la riverenza possibile. Su una parete maschere, arazzi e pupi dall’altra le foto in bianco e nero. C’erano foto di suo padre, il poeta Ignazio Buttita, e poi una sua foto bellissima con Bettino Craxi. La ricerca che dialoga con l’impegno politico, le culture popolari che incontrano le ideologie sul popolo e l’esotico che si scontra con il pragmatismo socialista.
Nino Buttitta, con un accento palermitano marcatissimo, mi raccontò dei convegni internazionali che organizzava. Perfino Roland Barth a Palermo. Mi era venuto il dubbio di come parlare perché ogni tanto qualcuno mi aveva detto che il mio accento siciliano, da quando vivevo a Bologna si sentiva meno. Mi dovevo vergognare?
Il fatto veramente straordinario per me era la capacità e la creatività che aveva avuto, di fare della Sicilia un richiamo accademico, scientifico, ma soprattutto culturale.
Da un aparte le teorie, dall’altra la pratica, e in mezzo lui appoggiato al bastone, con un dono della retorica raro e una voce che sembrava una fuoricampo di un film di Tornatore, raccontava aneddoti e storie da far dimenticare la distanza incolmabile tra di noi.
Mi disse che per fare l’antropologo dovevo imparare a leggere l’elenco telefonico, intanto. Diede prova di saperlo leggere e destrutturarlo chiaramente! Non so, non mi convinse l’approccio, oggi per l’antropologia culturale le circostanze sono molto diverse, ma mi piacque infinitamente l’esercizio intellettuale.
Gli anni, i decenni che ci separavano erano abbastanza per non entrare in conflitto generazionale, mi ricordo un bel confronto, specialmente sincero da strapparci anche qualche risatina (educata!).
La amava la Sicilia, e la Sicilia ama lui. Perché aveva messo creatività, buoni pensieri e passione in quell’esercizio d’amore.
Quando tornai a casa mi misi a subito a cercare materiale, aveva stimolato uno spirito di ricerca che aspettava solo di essere un po’ pungolato. Che meraviglia avere il desiderio di approfondire dopo un confronto con un’altra persona.
Vi racconto questa, che raccontò quel giorno, borbottando sull’insegnamento di certe poesie:

“Leopardi ne Il sabato del villaggio dice:
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,col suo fascio dell’erba;
e reca in mano un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole, […]
e così via.
Ma Leopardi non si guardava intorno, altrimenti avrebbe saputo che rose e viole non crescono nello stesso periodo”.

Nino Buttitta, l’antropologo, scrittore, accademico, studioso, socialista (e così via) se n’è andato.
Ti saluto Maestro.
 

di Valentina Rizzo