C’era un momento, circa nel 10 a.r. (Avanti Renzi), in cui i relatori alle assemblee e ai congressi chiedevano un momento per “fare autocritica”. Le mode linguistiche fanno parte del nostro mondo. Era un continuo esercizio autoriflessivo, un cogitare perpetuo su se stessi che solo da così tanto pensare poteva nascere il Partito Democratico.
Un’operazione forse più psicanalitica che politica.
È dal momento della fusione a freddo che la psicanalisi diventa chimica. Inizia una fase di cosiddetto confinamento. Il metodo si basa sulla capacità di utilizzare le proprietà dei catalizzatori per caricare all’interno del proprio reticolo atomi. Una lotta alla catalizzazione lunga dieci anni, fino alla scissione dell’atomo.
Il piano politico si appiattisce intorno alla congettura sul male minore, sulla conservazione della specie e sempre meno al progetto e alla discussione politica. Nel perlocutorio esercizio di definizione quanto sfugge al partito si chiama “mondo contemporaneo e globalizzato”. Non c’è tempo per le retoriche di taglia e cuci, tensione  e coesione che faceva parte delle strategie di 15 anni fa, perché il mondo si sposta verso la destra estrema e i divoratori delle democrazie rappresentative (da parlamento non da web) propongono sistemi easy per mondi complessi.
Da giorni il peso della riflessione politica sul Paese si è ripiegato su un dibattito interno poco più che vanitoso, a giudicare dalle ultime notizie e dal dimagrimento della Scissione (soggetto autonomo) diciamo pure vane. Ora sta diventando sempre più frequente sentire che “il partito sta attraversando una crisi antropologica”, ebbene in virtù di quanto detto sopra questo è quanto mai vero.
È proprio in chiave antropologica che si riconosce che della dimensione densa della politica fanno parte le strutture di dominio e subordinazione, dipendenza e interdipendenza, le ambizioni, le brutalità, le strategie e gli accordi tra individui e tra correnti, e che sarebbe proprio della sfera politica saper percepire e rinsaldare tutto questo.
È la profondità dei processi politici che si è persa, e la capacità di interpretazione dei fattori di bisogno che non si sanno più analizzare. La crisi del PD non è antropologica.
A dover essere ridiscussa è proprio l’antropologia del PD, intesa come capacità di analisi delle complessità sociali e di impostazione di un metodo di risposta efficace.
 

di Valentina Rizzo