di Angelo La Barbera *
“Nel tardo inverno dei miei sedici anni mia madre ha deciso che ero depressa, presumibilmente perché non uscivo molto di casa, passavo un sacco di tempo a letto, rileggevo infinite volte lo stesso libro, mangiavo molto poco e dedicavo molto del mio tempo libero a pensare alla morte. Tra gli opuscoli che parlano di tumori o nei siti dedicati, tra gli effetti collaterali del cancro c’è sempre la depressione. In realtà la depressione non è un effetto collaterale del cancro. La depressione è un effetto collaterale del morire”. (Incipit del film “Colpa delle Stelle”, 2014)
Il grande filosofo greco Epitteto si narra che sostenesse questo concetto: la gente non è disturbata dalle cose in sé, ma dall’opinione che ha delle cose. In altre parole solo il punto di vista che assumiamo e la valutazione che diamo alle situazioni e alle persone può determinare i nostri sentimenti e le nostre reazioni emotive. Il filosofo insiste sul ruolo salvifico della forza interiore, di quella preziosa risorsa che ognuno deve cercare in se stesso e coltivare lungo tutto l’arco della propria vita. Indubbiamente, il senso che si attribuisce agli avvenimenti ha un ruolo fondamentale, non è infrequente infatti che persone diverse attribuiscono allo stesso avvenimento significati diversi. Questo aspetto è evidente per esempio nel famoso film del regista Josh Boone Colpa delle stelle (The Fault in Our Stars), tratto dal romanzo di successo di Green (2012). Il romanzo racconta la storia di due adolescenti che vivono sapendo di dover morire da un momento all’altro: lei, Hazel è sopravvissuta ad un cancro ai polmoni, lui, Gus, ha perso una gamba per il sarcoma di Ewing. I due ragazzi si incontrano e si innamorano.
L’idea di morte per i due adolescenti è quotidiana, eppure nonostante ciò riescono a elaborare la perdita e fronteggiare momenti terribili come sapere vicina la morte, riuscendo a darsi uno spazio, lenendo il loro male con le loro carezze e attraverso esperienze “da ragazzi”, per esempio la partecipazioni a un  gruppo di sostegno per adolescenti affetti da cancro, li aiuta a utilizzare lo spazio per portare i loro pensieri e i loro dolori inducendoli rapidamente a un’operazione di autocontenimento. I due adolescenti cominciano ad amoreggiare con leggerezza e trovano nel rapporto un trampolino per affacciarsi a un contesto relazionale nel quale confrontarsi, superando i loro sentimenti di vergogna relativi al corpo malato, riuscendo ad avvicinarsi e portandosi a vivere una relazione d’amore, accedono al corpo sessuato, che fino a poco prima non era esibito per un senso di impaccio e blocco per le cicatrici presenti nel corpo lasciate dalla malattia. l’esperienza amorosa dei due adolescenti ha permesso di mettere in gioco le parti sane della loro personalità, quelle che li hanno fatti essere dei ragazzi come  gli altri, capaci di ironia, pensieri profondi e passione per ciò che ritengono importante.
Anche se i pensieri della malattia oncologica li abitano, trovano l’energia pulsionale del desiderio di vivere nel mondo motivandoli a uscire dal loro isolamento, arricchendo la loro capacità autoriflessiva sbloccandosi da una cupa solitudine grazie anche alla condivisione del dolore, di parole forti e dolorose come cancro, morte, funerale. Infatti Galimberti (1991) a proposito sul rapporto corpo-mondo ricorda: “Se nel dolore l’esistenza scopre il corpo come qualcosa di estraneo, nel piacere lo riconosce come suo e si riconosce in lui […]. Eppure non è dal corpo che nasce il piacere, ma dal contatto del corpo con qualcosa del mondo…”. Analogamente ne L’essere e il nulla di Sartre (1943) si coglie il ruolo fondamentale dell’incontro con l’altro: “Guardando il dorso della mia mano vi scopro vene che percorrono un certo tracciato […] ma perché sono proprio lì dove le vedo? Perché sono conformate in questo modo e non in un altro? Nessuno può rispondere a questa domanda. E tuttavia esiste una situazione in cui io cesso di torturarmi su questo problema.
Non appena una persona, una donna che mi ama e che io amo, mi accarezza la mano, mi sento convinto che le vene seguono il tracciato che è bene ed è giusto che seguano”.  Così come asserisce Sartre parlando del contatto con l’amata, è il rapporto con l’Altro ciò che feconda l’articolazione del somatico e del mentale. Il romanzo così come il film che ne è stato tratto rappresenta l’esempio di come adolescenti e adulti riconoscono la distinzione dell’aspetto fisico e mentale: da un lato la necessità e i limiti somatici considerati e accettati nei loro aspetti reali, dall’altro i sentimenti a essi legati (solitudine, diversità, dipendenza) che sono stati compresi e in parte trasformati a livello mentale fino ad accedere ad aspetti di autonomia nella cura di sé e nel rapporto con gli altri (scambio emotivo, preoccupazione e gratitudine). È innegabile come i due protagonisti adeguatamente accompagnati, hanno recuperato le capacità e le responsabilità personali nonostante la convivenza con il peso della malattia, riprendendo a vivere pienamente è in grado di pensare alla propria situazione in termini di verità, senza cadere a prospettive illusorie, riuscendo ad affrontare anche gli eventi concreti e assoluti, come l’esperienza del loro amico che diventa cieco per colpa del cancro, nell’ambito della comunicazione e della relazione, all’interno della quale alla loro disperazione si affiancano la preoccupazione per gli altri (genitori), in una comune esperienza di partecipazione affettiva che consente il prelevare dei sentimenti di amore anche nei momenti più critici. È innegabile come i due protagonisti siano l’esempio di due soggetti resilienti che “costruiscono” la propria resilienza giorno dopo giorno: l’ancoraggio alla  vita li porta a sfruttare ogni minimo appiglio per “mantenersi a galla” e l’ambiente relazionale può facilitare il loro compito, o al contrario complicarglielo. I due adolescenti con i tessuti delle cicatrici portano il segno concreto del dolore che è stato sopportato, così come forniscono delle prove visibili di processi di cura (Favazza, 1996; Sweetman, 2000), pertanto nella recente teoria psicoanalitica, il nodo centrale dello sviluppo sessuale per entrambi i ragazzi è considerata la disidentificazione dalla madre, individuando nel percorso di individuazione-separazione il problema centrale per entrambi i ragazzi. Come scrive Gaddini (1977) le esperienze vissute nella relazione con i genitori sono state in sincronia con i ritmi maturativi dei ragazzi. Nel loro sviluppo il processo di scena primaria ha permesso ai ragazzi di giungere sia alla compiuta differenziazione di sé dalla coppia genitoriale, sia alla distinzione all’interno della coppia genitoriale stessa. Grazie ad esso sono riusciti a costruire l’identità sessuale rappresentata dalla situazione edipica, dove i ragazzi hanno abbandonato gli investimenti dei loro genitori e li hanno sostituiti con identificazioni con loro, passando alla risoluzione del conflitto edipico acquisendo la capacità di separarsi dalla loro madre, sia fisicamente sia psichicamente, riconoscendo il ruolo insostituibile e complementare del padre in relazione alla madre, integrando le identificazioni (Di Chiara, 1999). Un bambino o un adolescente si sente esistere se sa di essere nella mente dei genitori.
Nel corso della loro esistenza i due adolescenti hanno avuto la possibilità di esperire una base sicura, è proprio grazie a essa che i due ragazzi introiettano il senso di valori aiutandoli ad acquisire le energie per tollerare e fronteggiare la malattia. nonostante siano al cospetto della morte i due adolescenti malati sono riusciti a costruire la propria identità personale superando il drammatico sentimento di estraneità rispetto a se stessi, vivendo adeguatamente la propria adolescenza (Peluso, Massaglia, 1997). Quindi la presenza di una famiglia amorevole rappresenta un fattore protettivo che riesce a svolgere un’azione di filtro o scudo tra l’adolescente e la malattia ostile e crudele. Ma cosa potrebbe accadere quando la famiglia che vive l’adolescente non è come quella esperita dai due protagonisti del film? Quando risulta non sufficientemente buona? Come si può evitare che il dolore di un genitore resti muto? Come permettere ai bambini o adolescenti di parlare di ciò che temono, della loro malattia? Come si può parlare di morte ai bambini e adolescenti  che sono la speranza del futuro?
A volte i giovani pazienti sentono un divieto implicito a fare domande o temono che facendole potrebbero arrecare ulteriori dolori ai genitori già provati a causa della loro malattia. è importante dar loro la possibilità di interrogarsi sugli eventi dolorosi e cercare aiuto nelle parole dell’adulto. La scelta del silenzio o della negazione non è protettiva nei loro confronti, ma giunge loro come un divieto a conoscere. In questo senso il silenzio non è un conforto, ma la contrario porta con sé la sensazione che l’adulto sia troppo spaventato, debole e per questo incapace di sorreggerlo o soccorrerlo (Quagliata, 2013). Il cancro rischia allora di minare profondamente oltre che gli assetti identitari anche quelli familiari, una sorta di “buco nero” privo di significato che come tale non può essere pensato. L’intervento psicologico diventa così uno spazio dove condivider la paura, la rabbia, l’angoscia, l’incertezza del futuro e il dolore per una possibile recidiva ed una eventuale perdita, inoltre aiuta, questi ragazzi che difficilmente riescono a farlo autonomamente, a riparare la memoria traumatica, che è una memoria patologica in quanto è costantemente rivolta al passato, causando in loro un enorme sofferenza, distruggendogli ogni speranza per rivolgersi al presente e al futuro (Meotti, 1990),  riuscendo a dare significato e integrazione alle vicissitudini nella loro vita e nella loro identità, riuscendo a trovare gli strumenti per far fronte alla realtà per quanto dura e difficile possa essere (Massaglia, Bertolotti, 2002).
I Follow-up sui malati di cancro indicano che gli effetti dello stress possono persister per mesi e anni. Le indagini psicologiche sui i giovano pazienti in remissione dimostrano che a distanza di mesi presentano alcuni sintomi: sembra che nella loro mente si fossero impresse in maniera indelebile immagini che evocano la paura della morte. I sogni sono segnati dal terrore e dalla paura di morire. Vi è un intorpidimento psichico, che consiste in una diminuita sensibilità nei confronti di sentimenti ed emozioni, una sorta di apatia che porta il giovane paziente a ritirarsi e a disinvestire dall’ambiente esterno. Molti giovani pazienti si arrabbiano sono ostili, irritabili, inclini all’isolamento. È difficile da vivere e da elaborare il trauma della malattia neoplastica, è un’esperienza complessa in ogni età. Ma è ancora più difficile affrontare questo evento traumatico quando non si è ancora adulti e incapaci di gestire in modo adeguato emozioni troppo violente. I giovani  pazienti appaiono infatti particolarmente esposti e vulnerabili, non ancora attrezzati a vivere momenti traumatici che comportano una sofferenza troppo intensa ed emozioni a volte incontenibili. Quindi è importante che siano accompagnati e sostenuti nelle loro esperienze più dolorose: se al dolore si aggiunge anche la solitudine e il vuoto, la sofferenza diventa intollerabile (Cancrini, 2012). I soggetti che accusano questi sintomi sono prigionieri del trauma che hanno esperito e per uscire dalla loro condizione hanno bisogno di un possibile intervento di supporto psicologico e/o di psicoterapia.
 
Bibliografia:

  • Cancrini, T, Biondo, D., (a cura di) (2012). Una ferita all’origine. Borla, Roma, 2012.
  • Di Chiara, G., (1999). Le sindromi psicosociali. Cortina, Milano.
  • Favazza, A., (1996). Bodies under Siege: Self-Mutilation and Body Modification in Culture and Psychiatry. Jhons Hopkins University Press, Baltimore, MD.
  • Gaddini, E., (1977). Formazione del padre e scena primaria. Rivista di psicoan 23; 3: 157-83.
  • Galimberti, U., (1991). Introduzione. In: Jaspers K. Il medico nell’età della tecnica. Cortina ed. Milano. P.XIII.
  • Green, J., (2014). Colpa delle stelle. Rizzoli, Milano.
  • Massaglia, P., Bertolotti, M., (2002). Il bambino. In Amadori, D., Bellani, M. L., Bruzzi, P., Casali, P.G., Grassi, L., Morasso, G., Orrù, W., (a cura di), Psiconcologia, Masson, Milano.
  • Meotti, F. (1990). Sulla memoria. Letto al IX Congresso della SPI, Saint Vincent.
  • Peluso, M., Massaglia, P., (1997). Il corpo quale luogo iniziale della vita mentale e della comunicazione. Un’esperienza di lavoro con adolescenti talassemici. Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale; 15/3:233-45.
  • Quagliata, E., (2013). Dialoghi con i genitori. La psicoanalisi per i genitori, i figli e la famiglia. Astrolabio, Roma.
  • Sartre, J.P.,(1943). L’essere e il nulla. Milano: Il Saggiatore; 1965, 455.
  • Sweetman, P., (2000). “Anchoring the (postmodern) self? Body modification, fashion and identity”. In Featherstone, M, (a cura di), Body modification. Sage, London.

* Psicologo Clinico