di Angelo La Barbera*
Un tempo veniva chiamata “banda” e andava di nascosto a suonare i campanelli delle case per fare una bravata e provocare la reazione degli adulti. Oggi si definisce baby-gang e attua comportamenti disfunzionali come ad esempio un vero pestaggio ad ignari malcapitati che vengono aggrediti all’improvviso e senza una motivazione. Talvolta le vittime riportano lesioni gravi e invalidanti. A rendere potenzialmente letale questo “gioco” (definito “knockout game”) è il fatto che la vittima viene colpita all’improvviso senza che possa difendersi in qualche modo. Spesso i complici riprendono la scena per diffonderla sul web. In queste situazioni viene difficile pensare che si tratti solo di bravate adolescenziali.
La causa da cui cominciano questi comportamenti disfunzionali (provocatori, dirompenti e violenti) è sempre uguale cioè appartenere a un “gruppo”. Di solito per l’adolescente fare parte di gruppo di coetanei lo aiuta mettersi in gioco dove sperimenta le proprie capacità emergenti, la propria forza fisica, mentale ed emotiva. Il gruppo quanto è funzionale facilita  la scoperta del nuovo, favorisce l’esplorazione dei propri limiti. Le trasgressioni e le ribellioni caratteristiche di questa età aiutano i ragazzi a superare e andare oltre le Colonne di Ercole utili per scoprire se stessi e le proprie energie ma anche per comprendere e assumersi le proprie responsabilità. In questo contesto le figure adulte di riferimento hanno una funzione di crescita importante in quanto fungono da accompagnamento, pongono delle regole flessibili e indicando i confini, ponendo paletti e monitorando  le condotte dei ragazzi. Quindi il gruppo serve a offrire uno spazio nuovo e diverso da quello della famiglia e ha la funzione di far uscire il giovane dalla dipendenza infantile.
Il gruppo è sempre esistito e anche se disturbava la tranquillità degli adulti non è mai stato un’esperienza anomala né un vivaio precoce di criminalità e devianza sociale. È stata sempre una palestra dove provocare ad affrancarsi dai legami familiari. Perché fare azioni di abilità insieme ad altri garantisce quella necessaria copertura emotiva che altrimenti renderebbe tutto più difficile in quanto nel gruppo si perde o si assottiglia la realtà del singolo. Niente di nuovo quindi sotto il sole anche se le <<cattive compagnie>> sono sempre state un pericolo temuto dagli adulti e un rischio per gli adolescenti. Oggi però alcuni gruppi di adolescenti formano fattori di rischio dove il gruppo forma una chiara combriccola che esprime sia un malessere evolutivo sia un malessere  esistenziale. Queste combriccole si organizzano sempre più precocemente e si muovono sull’asse di una marginalità relazionale. La povertà non è più legata alla classe sociale ma alla trascuratezza e incuria da parte degli adulti. È un fenomeno in rapida crescita. Ad esempio il fenomeno del bullismo che scorre sommerso già tra i bambini delle scuole primarie rimane occultata agli occhi distratti degli adulti. Soprusi, minacce, angherie di questi fragili bambini non è altro  che lo specchio di inquietanti relazioni, di povertà di dialogo e di solitudine affettiva. Oggi si riscontra che  il processo di maturazione e di individuazione dell’adolescente sia più complicato e difficile di ieri. Quindi quando mancano i riferimenti e le relazioni familiari sono rarefatte, quando il dialogo stenta a essere il terreno del confronto o anche dello scontro, un adolescente si trova a essere disorientato e  volge altrove la sua attenzione. Se non viene ascoltato, potrebbe finire nel chiudersi emotivamente, non confrontarsi più e a sua volta non ascoltare.   Si rivolge al gruppo che naturalmente accoglie le sue emozioni e ospita le sue fantasie anche quelle più violente. Gli agiti e le azioni, già così caratteristici di questa epoca, divengono un modo per comunicare e denunciare il disagio che accomuna il gruppo. Un adolescente arrabbiato e disorientato insieme agli altri realizza la trama di quel tessuto annodato di sofferenza per un mondo di adulti assenti e lontani. Il gruppo  aiuta a combattere il nemico, le sue regole incomprensibili e spesso contraddittorie. All’interno della baby-gang l’emulazione non solo è consentita ma richiesta. Così le prove cui tutti i membri del gruppo si devono sottoporre durante le loro azioni, finiscono per essere il surrogato di quei riti iniziatici che la collettività ha ormai perso o, per gran parte, dimenticato. In fondo il far parte di un gruppo implica l’accettazione e la condivisione degli ideali e l’adolescente, in cerca di conferme è naturalmente portato a soddisfare chi gli offre queste gratificazioni. Il guaio sta nel fatto che nel corso della crescita a questi adolescenti delusi, arrabbiati e insoddisfatti, che si rivolgono al gruppo per scrivere la loro storia, mancano riferimenti sicuri e stabili. Tutto è vago e possibile. Tutto senza valore, noioso. Manca il senso del limite perché nessuno stabilisce dei confini precisi; manca il senso di legalità e la consapevolezza delle proprie responsabilità perché gli esempi della comunità degli adulti sono spesso deludenti e incoerenti. È carente la sensibilità alla sofferenza altrui perché dilaga l’indifferenza dentro e fuori dalla famiglia. Allora la noia, quella sensazione vischiosa di monotonia e di vuoto, diviene una condizione stabile da cui si può uscire solo con gesti eclatanti e sconvolgenti. In conclusione sarebbe opportuno per i genitori chiedere una consultazione psicologica per il proprio figlio o figlia  se  dovessero manifestare  questo tipo di fragilità comportamentale.
Bibliografia:

  • Cattelino E. (2010), Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi, Carocci, Roma.
  • Maiolo G. (2012), Lessico psicologico, Erickson, Trento.
  • Sugarman L. (2003), Psicologia del ciclo di vita. Modelli teorici e strategie di intervento, Raffaello cortina, Milano, 2003.

*Psicologo Clinico