Leonforte – Una piacevole serata estiva, di quelle che mantengono quella deliziosa frescura tra aiuole fiorite e stelle che scacciano via l’afa torrida. La sontuosa villa Bonsignore si impreziosisce, vestita a festa com’è, scegliendo di sfoggiare per l’occasione tre “gemme” che ben conosciamo. Due sono orgogliosamente nostre, dell’altra – messinese di origine – ce ne siamo appropriati oramai, abituati come siamo alle sue esibizioni con Mario.
Brillano nel giardino affidato alle cure del Nido d’Argento. Brillano Pietrangelo Buttafuoco, Mario Incudine e Antonio Vasta, regalando cunto, canto e incanto. Al pari di un maestro orafo, Fabrizio Buttafuoco, l’organizzatore dell’evento, ha creato un gioiello di rara bellezza. Questa è stata la presentazione dell’ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco, I baci sono definitivi, edito da La Nave di Teseo.
La caratura del trio artistico l’abbiamo già conosciuta. Eppure, non ci abitueremo mai. Anzi, forse non ci basta mai. Ne vorremmo di più di parole sapientemente intrecciate a suoni e melodie. È un’armonia, la loro, un’intesa già rodata e consolidata dalla fortunata tournée de Il dolore pazzo dell’amore. È un’armonia che non è mai uguale a sé stessa.
Il dolore pazzo dell’amore, intima ode alla vita e all’amore, furioso crescendo di passione e struggimento, arricchita da drappeggi musicali a tinte forti. I baci sono definitivi, istantanee di delizia. La musica di Mario Incudine e Antonio Vasta scivola via tra le parole di Buttafuoco con dolcezza, quasi a voler cullare le immagini che il cunto ci restituisce.
Stride forse, questa parola tutta siciliana, “cunto”? Affatto. È imprescindibile dallo stile linguistico di Buttafuoco e da quello, tutto musicale, di Incudine e Vasta. Il cunto è cunto, c’è poco da aggiungere. Fascinosa narrazione, anche quando è di scena a Roma. Vi state immaginando l’imponenza maestosa dei monumenti capitolini, vero? Nonzi! 
Ne I baci sono definitivi, questi cunti sono singoli fotogrammi. Attimi di esistenze che si incrociano in quello che Zygmunt Bauman avrebbe definito un non- luogo. Dalla luce al buio sotterraneo della metropolitana, il (non) luogo di transito che accoglie anime che si sfiorano, ciascuna con la propria meta, ciascuna con il proprio odore e colore.
“…ed è in certi sguardi che si vede l’infinito”, canta Franco Battiato. L’infinito dello sguardo di un Buttafuoco pendolare, in perenne transito, taccuino in una mano, sensibilità nell’altra. Ce li restituisce tutti, quei frammenti di vite incrociate sui vagoni – in uno sconfinamento continuo tra reale e immaginifico – che da Anagnina percorrono la Capitale fino a Battistini. Si riversano come sciame umano alla Stazione Termini, punto di snodo con i binari della linea blu o di raccordo, se si vuole, con il brulicare di romanzi che camminano lungo le strade di una città che di eterno ha il fermento incessante.
È la metropolitana dei segreti quella che corre oggi. E anche chi pensa di averlo vuoto il cuore o occupato – come le ritirate nei vagoni, sempre sbarrate – appena fuori, per esempio alla Stazione Termini, viene rapito dallo swing alla buona dove ogni nota, ogni elettricità dei fiati, accende nei pendolari una storia. E tutti, ieri, hanno incontrato l’amore di domani. Ed è quello di oggi”. Questo siamo. Fermento, romanzo che si sviluppa intrinsecamente lungo l’arco spazio- temporale che ci è concesso. Questo è l’infinito dello sguardo di Buttafuoco, nel momento in cui guarda e ascolta e plasma alla maniera che solo lui sa fare. Cosmopolita, classicheggiante e isolana al contempo.
I gelsomini lo accompagnano sempre, con il loro inconfondibile profumo. Con loro, la strada statale 121, punto di congiunzione stavolta tra Agira e Leonforte. Lì è tutto un sentiero disseminato di radici, di semi di vita. È tanto di imperituro che si fissa in itinerari sempre labili, precari e frettolosi.
Definitivo, come i baci. O come questo ennesimo capolavoro.
Alessandra Maria