LEONFORTE. Il summit del 2013 tra il capoclan di Leonforte Giovanni Fiorenza e Salvatore Seminara, presunto referente provinciale di Cosa Nostra, non mirava a costituire ex novo una “famiglia mafiosa”, che già esisteva, ma a “ottenere il riconoscimento dell’autonomia” dei Fiorenza. Lo si legge, in sintesi, nella sentenza della quinta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha reso definitive le condanne del processo “Homo Novus”. Un clan dunque già esisteva, quando i Fiorenza tentarono di imporsi, chiedendo la benedizione di colui che era ritenuto il referente provinciale. Scrive la Cassazione: “La Corte d’appello ha delineato la costituzione – o, meglio, la ricostituzione – della famiglia mafiosa come frutto del rapporto (anche familiare) con i dirigenti della stessa fino al suo scompaginamento, rapporto che, secondo la sentenza impugnata, offriva a Giovanni Fiorenza e ai suoi sodali la “legittimazione” nel contesto di Cosa Nostra, laddove l’incontro con Seminara era funzionale a definire il quadro delle egemonie territoriali delle varie articolazioni di Cosa Nostra rispetto, appunto, all’influenza delle famiglie “viciniori” e, quindi, al riconoscimento dell’autonomia del gruppo dei Fiorenza a Leonforte”.
Ci sono dunque le motivazioni della sentenza, quarantadue pagine in cui la Suprema Corte risponde a tutti i motivi di impugnazione delle difese degli imputati. È la sentenza che ha reso definitive le condanne a 12 anni per Giovanni Fiorenza, a 9 anni per il figlio Alex, e 8 anni e 8 mesi per l’altro figlio Saimon; a 7 anni e 8 mesi per Giuseppe Viviano; a 6 anni per Nicola Guiso; e a 3 anni e 6 mesi per Gaetano Cocuzza. Non tutti erano accusati di associazione mafiosa, ma anche, a vario titolo, di ipotesi minori e tentata estorsione. L’unico parziale accoglimento degli ermellini riguarda la riduzione di pena, alla luce di un calcolo errato da parte dei giudici di secondo grado, per Giuseppe Cuccia di Agira, a cui sono stati inflitti in via definitiva 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione. È una sentenza storica, perché rende definitiva la ricostruzione su quanto avvenuto a Leonforte, dove, sino a settembre 2013 – quando gli agenti della sezione di Pg del Commissariato di Polizia fecero scattare una brillante operazione, eseguendo un provvedimento di fermo emesso dal sostituto procuratore Roberto Condorelli, della Dda di Caltanissetta – era in attività un pericoloso clan di Cosa Nostra. Almeno tre sono i tentativi di estorsione accertati in sentenza. Tentativi tutti falliti, di fronte alla ribellione delle vittime, che hanno denunciato e poi confermato le proprie denunce, grazie al supporto della Fai, la Federazione delle associazioni antiracket, e della neonata associazione L.A.N.A.. Tra le parti civili, va evidenziato infine, per la prima volta in assoluto a un processo di mafia – grazie a una coraggiosa scelta di campo dell’amministrazione leonfortese – c’era anche il Comune.