[da Enna Press dell’11 gennaio]
“Cose, cose che non lo sa nessuno” è l’efficace motto in sicilian-cantando, che un isolano può usare esaustivamente per descrivere la bellezza delle cose-patrimonio che detiene l’isola. Ma di questa bellezza “che non lo sa nessuno” non solo si fa riferimento alla sfera dell’indicibile, ma anche al binomio tutela-valorizzazione del patrimonio e dei Beni Culturali siciliano: NP. Non pervenuto!
Ebbene, in pochi giorni ci hanno dato molto su cui riflettere. 
Prima su tutti il caso della Dea di Morgantina e le dichiarazioni di Sgarbi, oggi Assessore ai Beni Culturali della Regione: che fa Sgarbi la smonta e la rimonta? La duplica? La trasferisce? Il messaggio è che i pochi visitatori di Aidone, non paragonabili al pubblico che aveva la Venere al Getty Museum prima di essere restituita, non contano. Non costituiscono quindi una soglia da superare con provvedimenti seri e precisi, ma un dato negativo e imbarazzante. 
Perché se è vero che i numeri contano è anche vero che la vicenda della Dea è costruita anche su un rilevante tema etico, ovvero la “restituzione” di un bene, alla stessa terra che ne aveva subìto la privazione illegale. Negli affari di cultura questo genere di temi dovrebbe contare. Il patrimonio non è solo sbigliettamento né contemplazione zen. Non è un caso che negli ultimi 15 anni ci sia un nutrito dibattito sul tema della restituzione (repatriation anche) che coinvolge il mondo, ma non la nostra intellighenzia.
Un’altra Dea non è possibile, ma politiche innovative e strutturali sì. Ma dove lo avete imparato il copia-incolla?   In questi bizzarri casi chiamati politiche culturali è auspicabile uno staff di persone preparate che abbiano soluzioni creative e non creativi messi a fare fotocopie. Ne dico una su tutte col rischio di dare all’assessorato un’idea geniale!: anziché spendere in un duplicato della Dea, relativi costi di istallazione, mantenimento e fruizione della copia si paghino professionisti dei Beni Culturali che sappiano lavorare in equipe con grafici, designer, urbanisti per trovare soluzioni creative e possibilmente …contemporanee
Mario di Caro firma  su Repubblica Palermo un articolo  titolato “Perché non facciamo un Louvre siciliano?”in cui esordisce con un “Diciamo la verità”.
E mentre nel mondo si parla di eco-museo, turismo esperienziale, digitalizzazione (e non solo se ne parla, sono anche i temi delle misure finanziate economicamente) l’innovazione più grande è  una proposta monolitica e ottocentesca? Oltre al fatto che la selezione di queste opere come avverrebbe?  Si tratterebbe poi di una visione unicamente materiale a scapito  di una politica patrimoniale UNESCO che volge verso il riconoscimento dei beni sia materiali che immateriali (feste religiose, riti, danze, racconti orali etc.).
No, non diciamoci la verità, parliamoci piuttosto con cognizione di causa e sapere critico e con qualche principi ben saldo. La cultura non deve creare diseguaglianze né disparità.
L’anno di Palermo Capitale della Cultura può essere un’opportunità per il resto del territorio siciliano sempre se riusciamo a scardinare l’idea che basta tenere il salotto elegante nel caso in cui arrivassero ospiti, mentre nelle altre stanze ci sono infiltrazioni d’acqua.
I mini-musei sono realtà locali che in molte occasioni avrebbero bisogno di un sostanziale ripensamento, ma la politica culturale non può essere quella di centralizzare a scapito dei territori.
È inaccettabile un paradigma di pensiero-azione sui beni culturali costruito intorno al tema della bellezza di per sé sottratto alle comunità patrimoniali, ai territori, alla ricerca, alla partecipazione attiva, alle Convenzioni e perfino agli specializzati del settore.
Mi pare suggestivo che la parola inglese di patrimonio sia Heritage, eredità. Ecco, io non dico che la foto di famiglia non starebbe bene anche sul comodino di un’altra casa, ma fatemi capire bene perché
 
Valentina Rizzo