Foto di Noemi Alessandra


Enna – Prosegue bene la rassegna teatrale del Garibaldi di Enna, firmata da Mario Incudine e organizzata dal Comune,  in collaborazione con l’Università Kore. Il nuovo anno si è aperto all’insegna del monologo più duro. È quello di Binnu Blues– Il racconto del Codice Provenzano, di e con Vincenzo Pirrotta.
Tratto dal libro “Il Codice Provenzano” di Salvo Palazzolo, giornalista del quotidiano La Repubblica e Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma, lo spettacolo si sviluppa attorno ai pizzini ritrovati, attraverso i quali il boss corleonese comunicava con l’esterno dalla sua casa bunker. Binnu U’ Tratturi, Zu Binnu, Binnu il ragioniere. Lo stesso che dall’uccisione di Michele Cavataio, nel lontano 1969, si è fatto largo tra i boss. Binnu, il capo che in quarantatre anni di latitanza ha gestito le fila di Cosa Nostra attraverso pizzini scritti secondo un codice ricco di pseudo religiosità.
La drammaturgia scivola dal parlato al canto. E dal canto alla parodia cadenzata. Come una carrellata in profondità che avanzando si sofferma su dettagli sempre più nitidi, così inizia il racconto. Con la pistola puntata contro Michele Cavataio e la freddezza con cui viene fatto fuori. Nella sublime interpretazione di Pirrotta, la narrazione si arricchisce di sfumature e accenti tra loro diversi. Da un vero e proprio cunto, rivisitato nella forma, a un taglio più aneddotico, costantemente al limite con gli accenti tipici della cronaca. E poi, i pizzini. Li abbiamo immaginati tante volte: battuti a macchina, maniacalmente ripiegati e avvolti da scotch. Minuscoli ed insulsi pezzi di carta contenenti gli ordini di morte – ché chi sbaglia paga con la vita – mascherati da finta umiltà, la trama dei rapporti con gli insospettabili. Così Pirrotta ci dà la possibilità di guardare Binnu. Così ne ricostruisce la vita, ripercorrendone ogni tappa.
Lo spettacolo potrebbe avere quella marcia in più. Quella particolarità che renderebbe la rappresentazione un pezzo davvero raro. Ci sarebbero stati, fin qui, tutti i presupposti per poter definire Binnu Blues  un vero e proprio capolavoro. La performance, tuttavia, perde energia in alcuni passaggi in cui altro tipo di scelte registiche avrebbero reso quei pizzini il momento culminante. E invece no. Non ci si aspettava una sequenza di soli bigliettini, letti sì con sublime capacità interpretativa, utili però a esaltare l’ignoranza del Provenzano e stop. Ecco, potremmo definirla un’enfasi fuori luogo, giacché quella proverbiale ignoranza la sapevamo già. A che pro banalizzarla? Perché non andare oltre, camminare spingendosi più avanti del luogo comune?
Ci si aspettava, forse, un viaggio più intimo e viscerale il cui biglietto per partire fosse almeno uno di quei pizzini. Sì, la mafia è una montagna di merda. Ovvio. Sì, è fatta da ignoranti, ovvio. Ma poi?
Poi, con quelle parole del Provenzano che sembrano disposte sotto teche di vetro, una accanto all’altra, si pensa all’articolo di Sciascia che indignò e fece tanto clamore. Era il 1987 quando lo scrittore definì una “alluvionata di retorica” la cultura dell’antimafia, sicuramente preferibile all’indifferenza, ça va sans dire! 
Le musiche di Binnu Blues, composte ed eseguite da Charlie Di Vita, viaggiano in parallelo al racconto, come un binario che però, ogni tanto, subisce vere e proprie deviazioni di percorso. Un blues non troppo blues, a tratti insicuro, altre volte spropositato. Effetto voluto e ricercato? Anche questo rientra nei dubbi e misteri irrisolti coi quali si conclude lo spettacolo.
Provenzano è morto nel luglio del 2016. A noi, opportunamente allevati a pane e antimafia, sarebbe piaciuto spingerci leggermente oltre.
Alessandra Maria