VALGUARNERA. Per i periti, non era capace di intendere e di volere al momento dei fatti di cui era imputata. Per questo ieri il Gup di Caltanissetta Graziella Luparello ha assolto, ritenendola non imputabile, Maria Gabriella Arena, l’impiegata cinquantenne del Comune arrestata lo scorso giugno dalla squadra mobile per estorsione, e quasi subito posta ai domiciliari. I poliziotti l’avevano catturata in flagrante, trovandola ancora in possesso dei 25 mila euro in contanti ricevuti, in una busta di carta, da un grosso imprenditore ennese, a cui aveva detto di essere un emissario della mafia, un esattore del pizzo del boss superlatitante Matteo Messina Denaro.
Ieri mattina in udienza il pm Roberto Condorelli della Direzione distrettuale antimafia aveva chiesto la condanna a 2 anni di reclusione dell’imputata, pur riconoscendo una sorta di seminfermità mentale. Il giudice, invece, l’ha assolta. In aula era parte civile l’imprenditore, assistito dall’avvocato Giovanni Palermo. In aula era parte civile anche il Comune di Valguarnera, su decisione del sindaco Francesca Draià, assistito dall’avvocato Mauro Di Carlo. La perizia psichiatrica sull’imputata era stata disposta d’ufficio dal Gup e affidata al dottore Salvatore Amico, su sollecitazione del difensore della donna, l’avvocato Sinuhe Curcuraci. L’istanza della difesa si basava sulle consulenze del medico legale Salvatore Bruno e della psicologa Maria Grazia Palermo.
La donna, come noto, ha confessato da tempo. A condurre l’inchiesta furono gli uomini dalla sezione criminalità organizzata della squadra mobile, diretti dal vicequestore Gabriele Presti. La confessione avvenne dinanzi al gip, all’indomani della cattura. All’epoca la donna ammise di essersi inventata tutto, di non aver mai conosciuto Messina Denaro e di averlo fatto solo perché aveva “bisogno di soldi”. Inventò di sana pianta contesti e scenari che non stanno né in cielo né in terra, aggiunse, cosa che effettivamente non è difficile da credere, visto che è abbastanza inverosimile che Messina Denaro, o “u siccu”, come lo chiamava lei, ricercato dalle polizie di mezzo mondo, si fosse improvvisamente materializzato a Valguarnera, rivolgendosi a quella mite dipendente comunale per chiedere il pizzo a una grossa impresa commerciale, che lavora in varie regioni d’Italia. Già i suoi racconti al gip, in qualche modo, orientavano verso un approfondimento sulle sue capacità di intendere e di volere, visto che aggiunse di aver vissuto questa storia come se stesse recitando in un film. L’accusa era estorsione aggravata dal metodo mafioso.