di Nunzia Villella

L’8 dicembre ,  giorno in cui i  cattolici  celebrano  la solennità dell’Immacolata Concezione, si apre ufficialmente il periodo natalizio. Alberi di Natale, inaugurazione di presepi, luci che finalmente si accendono per prepararci al periodo magico dell’anno, forse anche il più romantico , sicuramente il più amato dai bambini. Fin da  piccolissimi , siamo abituati ad aspettare con ansia le festività natalizie, il lungo periodo di vacanze, le giocate a carte, i parenti che arrivano da lontano, eppure ogni anno aumentano i casi di «Christmas Blues», ovvero uno stato di tristezza, una  malinconia paragonabile alla Depressione, ma che riguarda un periodo specifico, appunto quello natalizio. 
Bisogna precisare che se parliamo di “Depressione ” in senso stretto,  il disturbo colpisce con  maggiore incidenza chi è già affetto da una patologia depressiva, o chi  già si trova  in condizioni psicologiche particolari,  ma la Christmas Blues può manifestarsi  anche  in chi non è affetto da Depressione portando  con sé, sintomi simili, come l’anedonia (incapacità di provare piacere), l’insonnia,  l’ansia,  la tristezza , sintomi  che arrivano  davvero inaspettati in quello che dovrebbe essere il periodo più felice dell’anno. Proviamo  a usare una lente di ingrandimento che ci permetta di vedere meglio. In effetti, quello natalizio è il periodo dei regali, le pubblicità hanno già cominciato da un pezzo a martellarci con incessanti messaggi commerciali  che ci costringono  a fare i conti con la crisi economica, il rischio è quello di spendere troppo o al contrario, deludere le aspettative dei familiari e degli amici. Ma non solo: il mito del  Natale,  ci mette di fronte allo specchio dei problemi familiari, per esempio i conflitti con i parenti lontani che spesso ritornano per passare le feste insieme. L’imbarazzo del non poter improvvisamente diventare  “tutti più buoni” , gli auguri dovuti,  il far finta di niente per amore del quieto vivere. O al contrario, la solitudine di chi fa i conti con le grandi assenze, il posto vuoto di chi, per un motivo o per un altro,  non c’è più. La nostalgia del passato, i rimorsi, i rimpianti. A Natale, il cuore sembra farsi più pesante,  si diventa più consapevoli della propria  solitudine, o nei casi di famiglie “invischiate”, che rappresentano quasi una vera e propria forma di schiavitù psicologica. Si diventa più coscienti della prigionia di legami affettivi disfunzionali. 
Natale, inoltre, è l’anticamera della fine dell’anno, che simbolicamente diventa momento di bilanci e riflessioni sulla propria vita. Bilanci che non sempre portano valutazioni in positivo e  che diventano specchio di ciò che si percepisce come fallimentare. Come sopravvivere? Tanto per cominciare, ridurre le proprie aspettative  sforzandosi di non lasciarsi condizionare dalle pubblicità  e dal mito del Natale perfetto, e di non fare programmi troppo complicati.  Anche recuperarne l’aspetto prettamente religioso potrebbe favorire un “ritorno alla realtà”, in fondo, Natale dovrebbe essere questo. Ricordarsi che è una festa religiosa potrebbe riportare i fedeli nelle chiese e chi non crede, a ridimensionarne gli altri aspetti. Si potrebbe poi approfittare delle vacanze (ferie per i lavoratori) per dedicarsi a qualcosa che piaccia realmente,  e che di solito non si può curare durante l’anno a causa degli impegni, o semplicemente riposare. E se i sintomi non dovessero passare  neanche dopo l’Epifania, chiedersi se non ci sia  qualcosa di più su cui poter  lavorare  in un eventuale percorso di psicoterapia.