Natale si avvicina. E ormai da qualche anno si parla di dirigenti scolastici che negano il permesso di fare il presepe o la recita, di brusche reazioni dei genitori e di una politica che ci sguazza. Perché, si sa, in Italia ogni questione diventa politica. Sei favorevole all’integrazione dei migranti? Allora sicuramente voti PD. Li vuoi tutti a casa loro? Sei leghista. In Italia il pensiero dicotomico vince sempre perché, se imparassimo a considerare le sfumature, dovremmo sforzarci di pensare, o addirittura di provare empatia. Che ne sarà di tutti quelli che non vogliono schierarsi, non per mancanza di coraggio ma semplicemente perché la questione “integrazione” potrebbe non essere politica ma semplicemente umana?
L’Italia è terra di passaggio, un utile ponte, e se fosse “utilizzata” in questo senso, forse tutto sarebbe più semplice. Basterebbe salvare (come nostro dovere) e dare una prima accoglienza a chi, disperato, raggiunge le nostre coste per poi favorirne il passaggio verso l’Europa.  Mettendo da parte la politica e i messaggi martellanti che arrivano dai media,si sa davvero poco di come queste persone vengano accolte, di come si utilizzino i soldi, ma soprattutto , non abbiamo gli strumenti necessari per fare “integrazione”. Tanto per cominciare, non conosciamo la cultura delle persone che ci raggiungono e spesso neanche i motivi specifici che li hanno condotti fino a noi. E quando non si conosce, è facile che un politico faccia leva sui luoghi comuni… per noi sono tutti neri quindi tutti uguali. E l’errore continua nel momento in cui li vogliamo anche “uguali a noi”. Vedere l’altro uguale a me, annulla la sua identità.
Conoscerne la diversità, mi aiuta a identificarlo e individuarlo. Per fare un esempio conosciamo le differenze etniche di questi popoli? Conosciamo noi stessi? Conosciamo almeno la nostra di  cultura? Leggiamo regolarmente la  Bibbia  anche solo per scopi conoscitivi? La conoscenza è alla base se si vuole accogliere e realmente integrare: per aiutare l’altro, devo prima vederlo.  Devo prima rispettarlo e prima ancora, rispettare me stesso e la cultura che rappresento. Come spiegare ai presidi che eliminano il presepe che integrazione non è togliere ma aggiungere? Che sarebbe più utile un confronto tra culture diverse invece che l’annullamento delle nostre tradizioni? Se mio figlio portasse a pranzo un compagnetto marocchino, non mi sognerei mai di preparargli il cous cous, piuttosto gli preparerei la pasta o la pizza, non per imporgli il mio cibo, ma per fargli conoscere i piatti italiani.  Per lo stesso principio, non mi sconvolgerebbe se mio figlio, dopo essere stato a casa del compagnetto, mi raccontasse  di avere mangiato sul tappeto. Farci da parte per non disturbare, è una mancanza di rispetto verso noi stessi, ma soprattutto è una fuga dal dialogo. Dal dialogo nasce l’integrazione e dalla conoscenza , nasce anche la consapevolezza che c’è chi realmente desidera integrarsi, e chi no.
Nunzia Villella