Una sala gremita ed un pubblico selezionato quello che ieri pomeriggio, nei locali del Circolo degli Operai di Agira, ha assistito alla presentazione del libro “Di terra e di nuvole- Brevi storie soffiate dallo scirocco”, evento organizzato dall’ associazione “Il Circolo e le Donne”.
La relazione del professore Rosario Rocca – docente di filosofia del liceo scientifico E. Medi di Leonforte – ha preceduto la discussione con la scrittrice ed ha introdotto la lettura di alcuni estratti della raccolta. A dare voce ai racconti lo stesso Rocca insieme all’autrice. I due, accompagnati dalle note della chitarra di Nino Greco, hanno catalizzato l’attenzione della platea che ha seguito con commozione e partecipazione emotiva.
Rosario ed Irene, così come si sono presentati, sono cresciuti insieme tra i banchi del liceo classico di Leonforte. Non sono mancati momenti di ricordo e condivisione- peraltro è proprio la memoria uno dei temi pregnanti del libro – ed un saluto ideale ai loro compagni di classe.
Non vogliamo aggiungere altro. Riportiamo le parole del professore Rocca che, mirabilmente, ha introdotto il libro di Irene Varveri Nicoletti.
“Scrivere un libro è come piantare un albero. È come consegnare alla terra una risorsa preziosa per i suoi abitanti. Un albero dà ossigeno, dà frutti o anche solo…ombra.
Questo libro, in particolare, ha i frutti profumati di una terra conosciuta, condivisa, amata.
È un libro che sa di buono, che trasmette le immagini, i suoni e gli odori della nostra terra, che fa da cornice – paradossalmente anche quando i racconti hanno ambientazioni diverse – a tutte le storie che Irene sa raccontare.
Irene racconta storie che “vogliono” essere raccontate, perché– come dirà la protagonista del racconto “Capelli rossi” – “Il mondo è popolato di storie”, e una scrittrice ha il compito, quasi un mistico dovere, di portarle alla luce, di rendere vive.
E Irene fa vivere i suoi personaggi regalando loro le sue parole e i suoi stessi pensieri.
Personaggi definiti, con tutte le debolezze e le grandezze umane, soprattutto i personaggi femminili, che campeggiano su tutto il resto, anche quando sembrano soccombere, sotto il peso delle convenzioni sociali o dell’altrui volontà.
Ma sono soprattutto i tratti forti dei caratteri femminili che catalizzano l’attenzione del lettore, che non può non prendere parte, ad esempio, alle vicende di Maria (protagonista di “Perle ai porci”), madre amorevole e caparbia, desiderosa di regalare al figlio la vita che non ha mai potuto avere, per un riscatto sociale che si materializza nelle dinamiche del contrappasso dantesco.
Donne che provano sentimenti veri, che amano uomini, figli, amanti, ma soprattutto che amano la vita, che collezionano “attimi”, che sanno guardare alle piccole cose, le uniche che, in fondo, hanno importanza. Donne “buone come il pane e morbide come il burro”, per citare un altro dei racconti di Irene, che a tratti riesco a scorgere nelle figure delle donne che così amabilmente sa dipingere.
Già, perché Irene è anche una pittrice, e pare aver trasferito nella scrittura la maestria con la quale imprime sulle tele gli scorci della realtà che le è propria: quella Sicilia che è, a un tempo, ispirazione e orizzonte narrativo.
Irene canta la bellezza, quella delle donne, ora sensuale ora sfiorita, ma pur sempre presente, ora rubata da una malattia, che nulla toglie, però, allo sguardo di un marito innamorato che sacrifica la propria esistenza per il ricordo di una donna che non è più la donna che ha sposato.
E canta la bellezza dei rapporti umani, degli sguardi rubati, dei primi baci carichi di attese, dell’ultimo bacio che sottolinea un addio.
Io voglio ringraziarla per le sue parole, che adesso non sono più solo le sue, ma sono diventate le mie, che adesso ne scorgo il senso più profondo.  Come la protagonista del racconto: “La bellezza delle cose esiste”, passante distratta, che si fa cogliere di sorpresa dalla profondità delle parole che un mimo ha scritto su un cartello di cartone, adagiato a terra quasi a delimitare il suo mondo. Allo stesso modo, le parole di Irene non sono più sue, ma sono dei lettori, e soprattutto le mie, che oggi so che la bellezza esiste, e che tutto il resto può aspettare. Almeno per oggi c’è tempo…”

Maria Elena Debole