Oramai da anni la Festa delle donne viene confusa e fraintesa con la Giornata contro il femminicidio, da cui mutua argomenti e messaggio sociale come fosse il suo prequel. Ma oggi non è il 25 Novembre. E la reductio ad unum che subiscono i temi dell’8 Marzo è un grande limite per il senso ampio che questa ricorrenza pretende di avere da più di un secolo.
Il che non significa, d’altro canto, volerla intendere come festival dei luoghi comuni. Ma rimettere al loro posto i più nobili intenti politici e storici che aprirono una falla enorme nella mentalità patriarcale e patrilineare radicata in tutto il mondo. Restituire contenuto e memoria alle rivendicazioni salariali delle donne che chiedevano migliori condizioni di lavoro, alle campagne di lotta per l’ottenimento del suffragio universale. Alle battaglie contro le discriminazioni di natura sessuale. 
Sono questioni per niente anacronistiche. Oggi le sperequazioni esistono, e come.
E’ sempre doveroso reclamare tutti, in ogni caso e luogo, il diritto di una donna a non essere uccisa o percossa. Ma per l’8 Marzo non basta: perché la parità di genere non passa soltanto dal diritto – necessario ma non sufficiente – a non morire ammazzate, come fosse una gentile concessione del prossimo. Interessa la libera organizzazione delle proprie ambizioni professionali e personali, la facoltà di gestire in autonomia i momenti ordinari della propria giornata e quella di ridiscutere la propria posizione in famiglia e nella società. Riguarda la possibilità di costruire relazioni, non solo sentimentali, di tipo non gerarchico. Perchè non è scritto da nessuna parte che in una coppia rispetto reciproco ed emancipazione individuale non possano coesistere.
Ci sarà parità quando smonteremo la retorica frontale femminismo vs maschilismo, come stessimo giocando per un paio d’ore a Ciao Darwin. Sono battaglie culturali miopi che producono danni e alimentano contraddizioni. Ci sarà davvero parità e rispetto reciproco quando chi ha finito di mangiare per primo si alza e comincia a sparecchiare, indipendentemente dal sistema riproduttivo che la natura gli ha fornito. Perché semplicemente non esistono “cose da femmine”.

Adriano Licata