di Angelo La Barbera*
Non sarò più schiavo del mio passato emotivo, ma vivrò il mio presente con emozione”.
Ognuno di noi, impara a relazionarsi basandosi sulle esperienze affettive  vissute nell’infanzia. Il nostro modo di interpretare la vita, di relazionarci agli altri, il nostro modo di dare o ricevere amore dipende molto dal tipo di relazione che abbiamo interiorizzato in famiglia ed in particolare con la figura che ci ha accuditi (caregiver). In sostanza, ognuno di noi segue un modello di relazione che abbiamo appreso dalle figure parentali, anche se nella maggior parte delle volte siamo inconsapevoli.
Lo studio di due psicoanalisti Bowlby e Mary Ainsworth, hanno dimostrato che il rapporto tra la madre e il bambino, soprattutto nel primo anno di vita, lascia una traccia indelebile che influenzerà tutte le successive relazioni affettive. Se il caregiver è attento e premuroso nei riguardi del bambino, si svilupperà una relazione sicura, tecnicamente definita “attaccamento sicuro”, come ci ricorda Winnicott (psicoanalista), un caregiver perfetto non esiste, infatti parla di una madre sufficientemente buona, che cerca di fare il proprio meglio nelle varie circostanze che esperisce con il proprio bambino. L’autore parla di un caregiver umano che può sbagliare ma che riesce a fornire esperienze correttive al proprio bambino riesce a mettersi in discussione, quindi la madre si dimostra premurosa nei riguardi del proprio bambino e ripara agli errori di interpretazione delle richieste fatte dal proprio figlio. Ad esempio, se una madre interpreta sempre il pianto del bambino come fame, e non riesce ad imparare con l’esperienza i diversi bisogni del suo piccolo e ripropone ogni volta del cibo, non sarà una madre sufficientemente buona, ma se dopo qualche tentativo comprende il proprio errore e si rimette “in carreggiata” fornendo esperienze correttive il bambino crescendo acquisirà atteggiamenti sicuri nell’esplorare l’ambiente e nel relazionarsi con l’altro. Da grande potrebbe costruire dei legami sentimentali improntati sul rispetto di sé, sulla stima e sulla fiducia, le sue relazioni potrebbero dimostrarsi durature ed equilibrate. Mentre sul versante opposto si potrebbe esperire una relazione con una madre che non riesce ad entrare e immedesimarsi ai bisogni del proprio figlio, le sue cure sono carenti, in tal senso il bambino/la bambina potrebbe sviluppare una relazione insicura, tecnicamente definita “attaccamento insicuro” e a sua volta da adulti potrebbe costruire delle relazioni deficitarie.
Quando il tratto di personalità del caregiver carente potrebbe influenzare su quella del figlio?
Di seguito saranno descritti le differenti tipologie di relazioni caregiver-bambino che si distinguono per le caratteristiche delle personalità carenti dei caregiver:

  • Caregiver a tempo pieno: sono quei caregiver che si sentono pienamente realizzati con la maternità, felici di rinunciare a tutto per i loro figli e che esigono loro una dipendenza legittima da un caregiver che li ama e che provvede a tutto. Di solito ripetono ai figli: “come è possibile che mi fai questo? Con tutto quello che ho fatto per te? Esigono che vengono riconosciuti i loro sacrifici al fine di veder realizzate le proprie aspettative riposte nei figli. Rinunciano a tutto: amicizie, passioni, lavoro… I loro figli vivono delle difficoltà a separarsi da loro, rimangono imbrigliati in una relazione di amore/odio complesso. Da adulti potrebbero costruire relazioni insicure, vivere difficoltà nell’organizzare la propria vita e potrebbero avere diverse forme di dipendenza.
  • Caregiver con l’umore nero: è colui che si prende cura del bambino e che continuamente rimugina su tutti i suoi fallimenti,  hanno continuamente pensieri negativi ed inconsciamente vorrebbe che i loro figli avessero la stessa condanna. È un caregiver che scoraggia qualsiasi idea creativa dei loro figli, che getta l’infelicità su ogni gioia ed iniziativa senza la possibilità di alternative;  criticano e giudicano negativamente i loro figli anche quando i loro successi sono oggettivi. Il bambino potrebbe interiorizzare che non sono amati, in quanto il caregiver lo considera come un fallito. Purtroppo si può riscontrare in questi bambini diventati adulti una persistente malinconia e tristezza nonostante abbiano raggiunto una vita appagante.
  • Caregiver tormentato: è colui che ama lamentarsi, che pensa alla propria esistenza come un continuo fallimento ed aspetta qualcuno che lo salvi dal suo triste destino. Queste tipologie di caregiver sottopongono i propri figli a contini lamenti, invadono il loro spazio e pretendono di essere compresi, protetti e compatiti. Il caregiver tormentato chiede ai propri figli fin da piccoli di non creargli problemi, di proteggerlo e di aiutarlo. I bambini prenderanno ruoli e responsabilità adulte per supportare il loro caregiver impostando una relazione anomala dove il ruolo genitoriale è del figlio. I bambini non ricevendo protezione e rassicurazione da parte del caregiver, da adulti potrebbero sviluppare una personalità insicura e provare odio per quel caregiver incapace di autonomia. Insicurezza, ansia e senso di colpa predominano in questi figli che si sentiranno inadeguati per non essere mai riusciti ad aiutare il genitore (lo scopo del caregiver infatti è quello di legarlo a lui in maniera vischiosa e per raggiungere il suo obiettivo si mostra sempre lamentoso ed insoddisfatto dell’aiuto ricevuto), inoltre potrebbero sviluppare delle dipendenze affettive o dipendenze da alcool e droghe.
  • Caregiver vanesio: il caregiver vanesio vede la propria prole come l’orgoglio di cui vantarsi, ha grandi ambizioni per loro e il suo obiettivo è quello di mostrare i suoi “gioielli”. Spesso i figli riescono a raggiungere il successo ma che non corrisponde ai loro desideri più profondi, conducendo una vita apparentemente appagante ma che li rende insoddisfatti. Il caregiver vanesio, non riconosce nei propri figli la loro dignità di persone e il loro diritto di essere diversi da come lui le vuole. I figli a loro volta possono anche loro diventare vanesi, in quanto fin da piccoli apprendono che l’amore è condizionato e qui nasce l’insicurezza di non poter essere amati per quello che si è veramente. Il vanesio ha un continuo bisogno di confermarsi alle aspettative altrui, ha poca fiducia in se stesso e non riesce a elaborare i propri desideri in quanto confusi e amalgamati a quelli indotti dagli altri, in primis del caregiver. Quindi l’idea di sé in questo caso è mutevole ed evanescente perché dipende dagli altri.
  • Caregiver nervoso: è colui che si altera per un nonnulla, che ha improvvisi sbalzi d’umore, che mostra un atteggiamento seduttivo in occasioni non consone. Il caregiver nervoso aggredisce i propri figli con i suoi mutismi, i suoi esagerati rimproveri per situazioni in cui non c’è nulla da rimproverare. I figli potrebbero crescere insicuri, vivendo nella paura e nell’incertezza. Non riescono a fidarsi dell’altro.
  • Caregiver teatrale: il caregiver teatrale è colui che ama i riflettori gli piace mostrarsi e attirare l’attenzione altrui. È un caregiver seducente, che vuole sembrare più giovane e che mette in imbarazzo i propri figli con gli atteggiamenti stravaganti ed eccessivamente maliziosi. I figli attuano atteggiamenti di evitamento quando sono con il loro caregiver, non va in posti pubblici, non frequenta amici in casa in presenza del caregiver. Vivono nella vergogna e nel bisogno di dover in qualche modo giustificare il comportamento altrui.

Quindi coloro che in passato hanno vissuto delle relazioni insicure potrebbero interiorizzare modelli relazionali insani, che li porta a scegliere rapporti che li fanno soffrire o che a sua volta fanno soffrire l’altro, cercare relazioni dove più sono umiliati più amano, vivono nella continua speranza che lui/lei possa cambiare, relazioni amorose ambivalenti di amore/odio, dove il legame non matura, dove si cerca di possedere l’altro disumanizzandolo,  non si fidano, non lo rispettano e attuano atteggiamenti manipolatori. Per concludere potrebbe capitare che nel leggere il presente articolo si ci può rivedere in una relazione appena descritta o ripensare come siamo stati cresciuti dal nostro caregiver. Il consiglio da esperto è essere consapevoli di ciò che abbiamo vissuto, dando voce alle emozioni  perché ognuno di noi può trasformarle dentro di sé, in primis per guarire le ferite bisogna  amare se stessi e liberarsi da relazioni che logorano, accettando il passato e riscostruendo il presente per un futuro migliore. Quando da soli non riusciamo a elaborare cosa ci sta accadendo e viviamo una vera crisi, si potrebbe rivelare importante trovare il coraggio di chiedere aiuto a un esperto psicologo o psicoterapeuta. La figura di uno psicologo  potrebbe fornire un adeguato sostegno consigliando alla persona un percorso mirato che la aiuti a ritrovare se stessa e ad adottare la strategia più adeguata per riacquistare un efficace senso di benessere psicofisico e per riuscire ad abbandonare una relazione tossica per sperimentarne una sana ed accogliente. Iniziare a essere consapevole può dare il via al cambiamento.
 
Bibliografia:

  • Brazelton, T.B. e Cramer, B., Il primo legame, Frassinelli, Milano 1991.
  • Jude Cassidy e Phillip R.Shaver, Manuale dell’attaccamento, Ed. Giovanni Fioriti Editore s.r.l., Roma 2011.
  • Marina Valcarenghi, Mamma non farmi male: ombre della maternità, Ed. B. Mondadori, 2011.
  • Peter Schellenbaum, La ferita dei non amati, Ed. Red Edizioni, Milano, 2011.

Winnicott, D.W., Oggetti transizionali e fenomeni transizionali, in Dalla pediatria alla psicoanalisi, scritti scelti, G. Martinelli, Firenze 1975.
*Psicologo Clinico