di Josè Trovato

Avrebbe inventato di sana pianta una storia extraconiugale con una donna dell’Est, per dichiararsi il padre della sua bambina, portarla con sé e crescerla assieme alla moglie, con cui non riusciva ad avere figli. Per questo – smentiti dall’esame del dna – ora un ennese di 58 anni e una donna proveniente da un Paese dell’Est sono stati condannati a 3 anni di reclusione. Lei ha 17 anni meno di lui. E tra i due, è convinto il giudice, non c’è mai stata alcuna relazione.
Semplicemente, scrive il giudice Giuseppe Tigano, “si sono incontrate due esigenze: il desiderio di una madre in condizioni economiche disperate di dare un futuro migliore alla propria figlia e il sogno dei coniugi di diventare genitori. Un do ut des perfetto, quasi moralmente accettabile se non ci fosse di mezzo una creatura incolpevole, vera vittima di questi inganni compiuti sulla sua pelle”. Così al momento di registrare la piccola all’anagrafe, la madre naturale sarebbe rimasta totalmente assente: “In questo progetto non doveva esistere, proprio per evitare che potessero addensarsi sull’imputato sospetti di sorta – si legge nella sentenza -. Ecco perché bisogna escludere che tra i due vi fosse stata una relazione sentimentale o sessuale; piuttosto tra i due era stato stipulato un accordo sinallagmatico a prestazioni corrispettive: da un lato la cessione della piccola, dall’altro la prestazione economica che avrebbe garantito alla bambina un futuro più agiato e sereno”.
Gli imputati, in sostanza, si erano difesi dichiarando di aver avuto una relazione durata all’incirca cinque mesi; e che poi l’ennese, quando seppe che lei era incinta, aveva deciso di assumersi le proprie responsabilità, raccontare tutto alla moglie e accogliere la piccola. Un racconto che non ha convinto affatto il giudice, perché il raffronto del dna lo ha scientificamente smentito; e perché pure il tentativo di fornire una spiegazione – lui era convinto di essere il padre, non sapendo che la giovane avesse contemporaneamente una storia con un altro uomo – è stato ritenuto poco credibile. L’inchiesta era stata aperta dalla Procura di Nicosia, insospettita da quella strana “denuncia di neonato”, presentata all’anagrafe di un Comune della provincia da un uomo sposato, che si dichiarava padre naturale della piccola. Ora si è giunti alla condanna, emessa a maggio ma la cui sentenza è stata depositata solo pochi giorni prima di Ferragosto.
L’unica nota positiva, in pratica, è il benessere della piccola, cresciuta in un ambiente sereno e affettuoso; che adesso ha più di otto anni e sta benissimo. Ma secono il giudice, che ha applicato il minimo della pena previsto per il reato di “alterazione dello stato civile di un neonato” – si va da tre a dieci anni – il fine non giustifica i mezzi: resta un reato gravissimo, indipendentemente dalle conseguenze, forse positive. “Quello in esame è un reato in sé odioso, consumato da esseri umani che cercano di sostituirsi al fato, alla volontà di Dio per chi è religioso – conclude la sentenza – uomini che per i motivi più disparati cercano di alterare il naturale corso degli eventi, mossi da interessi del tutto personali, per quanto non necessariamente inaccettabili come nel caso in esame”.