Catania – Al Centro Culture Contemporanee Zo è andato in scena l’amore secondo Pietrangelo Buttafuoco, Mario Incudine, Antonio Vasta. “All’Amore bisogna credere, sempre. Anche quando ci fa pazzi di dolore”. All’amore come all’innocenza, ai musicanti, ai cantastorie, alla Sicilia vivida che profuma di gelsomino. Un connubio artistico di rara bellezza, questo trio che ha concluso con l’ennesima standing ovation la tappa catanese de Il dolore pazzo dell’amore, attualmente in tour nei maggiori teatri siciliani. Tratto dall’omonimo volume di Buttafuoco, edito da Bompiani, la piece si può paragonare al più intenso degli inni alla vita. Sul solco tracciato dalle parole scritte, si innestano cunti capaci di creare percorsi nuovi, indipendenti dal romanzo, ma che con questo hanno in comune l’amore, mai sciatto, incastonato in un entroterra siculo profumatissimo e lussureggiante. In una scenografia ben congegnata luci, parole e musica si alternano creando una immaginifica danza di amore e vita. Perché Buttafuoco, Incudine e Vasta, tra cunti e canti, portano in scena l’anima multiforme dell’amore folle. C’è il dolore pazzo dell’innamoramento. La bramosia con cui gli occhi si posano su di lei. La furiosa passione dell’amplesso. Il dolore pazzo nel volerle amare tutte, le femmine, come “cagne e dee”, almeno finché Iddio non giunge a toglierti il vizio. C’è, poi, il dolore pazzo dell’amore per la vita in un’appassionante e rabbiosa litania scaturita dalla chioma incanutita. In quelle parole cadenzate e cantilenate vive la supplica al tempo perché si fermi. Vive la rabbia e l’impotenza. Vive la forza della preghiera. Tempusfugit. Inesorabile prosegue la sua corsa, lasciandoci attoniti, impotenti, ed assetati di vizi e manie. Desiderosi di vita come fossimo appena venuti al mondo. Questo dolore pazzo raggiunge l’acme nella prospettiva del morente. Lì le parole si fanno vibrante lirica di ineguagliabile intensità. E quel dolore prorompe, per quanto ami la vita con i suoi odori e i suoi sapori. Sui declivi di Faccialavata, appena fuori Leonforte, ti vedi già scivolare tra le spighe di grano, con le narici piene di quel profumo che solo i fichi d’India appena sbucciati possono sprigionare. Perché quel dolore pazzo è un memoir, una porta attraverso la quale Buttafuoco accoglie nella sua dimensione più intima e vivida: i cunti di famiglia, ambientati tra Leonforte e Agira, con personaggi reali – la zia Lia, come lo zio Nino – dai connotati felliniani. E’ tutto un vorticoso e forsennato andirivieni dialettico-musicale, in cui il maestro Antonio Vasta accompagna la complementarità di Buttafuoco e Incudine. Tanto geometrica e cadenzata la parola del primo, nella sua narrazione ad intensità crescente e furente, tanto vorticosa e travolgente la musica del secondo, degno completamento di una vis irrazionale che solo il sottile filo rosso dell’amore può tirare. Tanto diafano Buttafuoco, nella delicatezza della giustapposizione di cunti, tanto colorito l’ennese Incudine con i suoi drappeggi di note e di aneddoti riguardanti i musicanti. Storie di parrini. Di matrimoni e funerali. Di vita e di morte, che si annodano nel dolore pazzo dell’amore. In tutto questo tripudio di follia germogliano verità, assiomi. Il primo: tutto l’universo obbedisce all’amore, omaggiando il maestro Franco Battiato. Il secondo: dopotutto, la morte non è la fine. La prossima tappa de Il dolore pazzo dell’amore toccherà Comiso, il prossimo 15 dicembre, Teatro comunale Naselli.
Alessandra Maria