Che ci fa Gogòl in Cambogia, nel Sud – Est asiatico?  Ci è andato perché Gogòl ama sorridere e dispensare sorrisi. Un lungo tragitto, da Enna a Phnom Penh e che ha reso due giovani ennesi protagonisti di un nobile progetto umanitario. Fabio Di Dio e Giovanni Quattrocchi la passione per la solidarietà ce l’hanno nel sangue. Tutto è cominciato da un’idea di Mauro Todaro. In barba a chi sostiene che in una realtà come Enna non ci sia nulla di positivo, Mauro ha ideato questo omino da consegnare come omaggio al sorriso. “Viene consegnato a chi crede in sé e fa qualcosa di buono. A modelli positivi, insomma. E così, in un anno circa, sono stati distribuiti più di duemila Gogòl e non solo in provincia. Gogòl è andato in giro per l’Italia e all’estero anche”, ha specificato Fabio Di Dio. L’eco dei social network, poi, ha fatto sì che si creasse una rete di sostenitori nell’ambito della realtà imprenditoriale locale. Eppure, Gogòl non nasce con obiettivi umanitari, cui si è giunti gradualmente. “Ci siamo arrivati spontaneamente, grazie all’esempio dell’ennese Cristina Fazzi, medico che da molti anni opera in Zambia. Da qui nasce “per un mondo di sorrisi”, progetto mio e di Giovanni, per portare concretamente la positività in giro per il mondo. Siamo arrivati in Cambogia attraverso la onlus “Il Nodo” di Milano, che lì ha aperto una scuola in cui si insegna la lavorazione di metalli quali argento, oro e ferro e che in questo modo cerca di creare opportunità di lavoro per gli abitanti dei villaggi”, ha dichiarato Di Dio, cui gli fa eco Giovanni Quattrocchi, ingegnere ambientale da tempo in contatto con la onlus milanese. E’ così che nasce il primo obiettivo umanitario di Gogòl: donare a un villaggio della Cambogia cinquanta filtri per potabilizzare l’acqua, insegnare a grandi e piccini come usarli. Senza indugio e grazie all’aiuto di padre Giuseppe Rugolo, inizia la fase di raccolta fondi che consentirà poi l’acquisto dei filtri. Sembra poco, anche se poco non è. “In Cambogia, un bambino su trenta muore per infezioni gastrointestinali causate dall’utilizzo di acqua non potabile”, ha sottolineato Di Dio. Inizia poi la seconda fase, la missione vera e propria. L’impatto con la miseria, l’oblìo cui vanno incontro le popolazioni appena fuori la popolosa capitale, il torrido caldo non fanno desistere i nostri giovani eroi (perché chiunque si rimbocchi le maniche, di questi tempi soprattutto, è un eroe), che sono stati subito accolti dai bambini del villaggio – “è bastato questo a darci la motivazione” – da rappresentanti diplomatici e da Martina Cannetta, che da anni segue i progetti de Il Nodo in Cambogia. “I ragazzi sono stati molto ricettivi durante il corso – ha specificato Quattrocchi – anche perché ci sono stati di supporto dei fumetti con personaggi molto noti in Cambogia. Grazie a quelle illustrazioni abbiamo potuto spiegare il corretto uso dell’acqua potabile, nonostante la diversità linguistica. Al termine del corso i ragazzi hanno anche allestito una rappresentazione teatrale inerente l’uso dell’acqua”. Cosa si sono portati, da questa esperienza? Su questo, i due non hanno dubbi. C’è tanto da imparare da chi possiede poco o nulla, ma ha la capacità di sorridere sempre. “Parliamo di bambini che non sanno la loro età. Non esistono orologi o calendari lì. Non esistono neanche dei registri di nascita”, ha specificato Fabio, così come non esistono scarpe ai loro piedi. E’ paradossale la discrepanza che esiste tra la capitale Phnom Penh e un villaggio appena distante, dove le sorti degli abitanti, senza gli aiuti di onlus e di progetti come questo, sono lasciate un po’ al caso. La sanità funziona se vivi in metropoli e se la puoi pagare, ovviamente. Conclusa questa esperienza, si pensa già ai prossimi obiettivi. Un’ipotesi potrebbe essere quella di puntare a raccogliere i fondi necessari per garantire delle borse di studio agli apprendisti artigiani. Sottrarre giovani dalla strada significa creare delle opportunità di vita.
Alessandra Maria