L’Ordinamento della professione di giornalista non evidenzia “differenze di ordine qualitativo fra le prestazioni rese da un giornalista professionista e quelle rese da un giornalista pubblicista”, ma solo quantitative, che “non possono essere ritenute ostative ad una interpretazione estensiva della norma” sul segreto professionale. Per questo è ritenuto legittimo il rifiuto, anche da parte dei giornalisti pubblicisti, di rivelare la loro fonte.
Con queste motivazioni, la prima sezione penale della Corte d’appello di Caltanissetta, presieduta da Andreina Occhipinti e composta dai giudici Giovanbattista Tona e Marco Sabella, ha assolto i giornalisti Josè Trovato e Giulia Martorana dall’accusa di favoreggiamento nei confronti di ignoti.
La vicenda scaturisce dalla pubblicazione, Trovato sul Giornale di Sicilia e Martorana su La Sicilia, di una notizia relativa a un delitto avvenuto nel 2007. Un anno dopo i cronisti riferivano dell’avvenuta identificazione del cadavere carbonizzato e delle indagini in corso.
In primo grado erano stati assolti dal Tribunale di Enna, con una sentenza che tuttavia si era fermata al loro interrogatorio, nullo, secondo il giudice, perché i due avrebbero dovuto avere la facoltà di non rispondere. Ma la Procura generale di Caltanissetta ha impugnato la sentenza, sostenendo che gli interrogatori fossero “corpo di reato”, dunque pienamente utilizzabili. Ma adesso la Corte d’appello, accogliendo la tesi dell’avvocato Salvatore Timpanaro, li assolve nel merito. Per la Corte, i giornalisti avevano tutto il diritto di rifiutarsi di rivelare la propria fonte. La sentenza cita l’evoluzione dell’ordinamento italiano in materia di segreto professionale, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la sentenza della Corte di Giustizia europea sul cosiddetto “caso Goodwin”.
“E’ una sentenza magistrale, un faro per i giornalisti che scrivono di cronaca – afferma Josè Trovato –. Questa sentenza è ciò per cui abbiamo lottato, io e la collega Martorana, sin dall’inizio. Dicevano che non avevamo ‘diritto al segreto’ perché “solo pubblicisti”, e abbiamo scelto di lottare contro un’ingiustizia. Oggi vince la libertà di stampa. È una vittoria della democrazia”.
“Grande soddisfazione”, esprime l’avvocato Timpanaro, il quale commenta: “Una Corte attentissima ha in pieno accolto la nostra tesi giuridica, riconoscendo anche ai pubblicisti, e cioè ai cronisti che operano sul campo, il diritto di opporre il segreto professionale sulle fonti, che è condizione essenziale della libertà di stampa. Una sentenza storica, destinata a fare giurisprudenza a livello nazionale”.