L’avvocato penalista nicosiano Salvatore Timpanaro è il difensore di fiducia del giornalista Josè Trovato. È colui che ha sostenuto i principi costituzionali a tutela della libertà di stampa nella sentenza – depositata alcuni giorni fa – che estende ai giornalisti pubblicisti il diritto di non rivelare le fonti delle notizie riservate di cui entrano in possesso. Per questo l’avvocato Timpanaro si è speso, con gli avvocati Gioacchino e Alberto Sbacchi, in difesa di Trovato, che all’epoca dei fatti era giornalista pubblicista.
EnnaOra lo ha intervistato, anche al fine di comprendere l’importanza e la portata di questa sentenza.
Avvocato Timpanaro, quale è il caso di cui si è occupata la Corte di Appello di Caltanissetta con la recente sentenza di assoluzione?
A margine dell’omicidio Governale, avvenuto a Piazza Armerina, furono pubblicate nel 2008 alcune notizie di stampa che gli inquirenti ritennero essere coperte dal segreto d’indagine ed essere state fornite illegalmente ai due giornalisti da un ignoto funzionario o ufficiale di PG mai identificato. Fu contestato, quindi, ai due giornalisti il delitto di favoreggiamento personale per essersi, “in qualità di giornalisti pubblicisti e, pertanto, non esonerati ai sensi dell’art. 200 comma 3 c.p.p.”,  rifiutati di  rivelare, alla polizia giudiziaria ed al P.M. “le fonti delle notizie di carattere fiduciario ricevute” pubblicate rispettivamente su due quotidiani: il Giornale di Sicilia e La Sicilia. In tal modo, secondo l’ipotesi accusatoria,  i due cronisti avrebbero aiutato gli autori della rivelazione del segreto di ufficio ad eludere le investigazioni dell’autorità, così commettendo il delitto di favoreggiamento.
Qual è stata la tesi dell’accusa?
L’ipotesi accusatoria era esclusivamente incentrata sul rifiuto – ritenuto illecito e tale da configurare il delitto di favoreggiamento – di rivelare la fonte confidenziale, sul presupposto dell’obbligo giuridico di rivelarlo. Soltanto ai giornalisti professionisti secondo una interpretazione letterale compete la facoltà di opporre il segreto delle fonti e non anche ai giornalisti pubblicisti,come i due cronisti incriminati.
Quale la tesi difensiva da lei sostenuta?
In difesa del mio assistito, Josè Trovato, sollevai avanti il Tribunale di Enna – con un’articolatissima memoria e nel corso di un’udienza fiume nella quale intervennero per solidarietà con gli imputati i vertici dell’Ordine Regionale dei Giornalisti e dell’Assostampa –  la questione di legittimità costituzione, sostenendo che la norma dell’articolo 200 del codice di procedura penale fosse incostituzionale nella parte in cui, prevedendo il segreto professionale in favore dei “giornalisti ”professionisti iscritti nell’albo professionale”, i quali non possono essere obbligati a deporre “relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione”, irragionevolmente esclude i “giornalisti pubblicisti”. L’eccezione di incostituzionalità fu sollevata sotto diversi profili: in primo luogo per violazione dell’art. 3 della costituzione (principio di uguaglianza). Con irragionevole disparità di trattamento la norma esclude, infatti, dalla facoltà di opporre il segreto professionale circa le fonti confidenziali i giornalisti pubblicisti, professionisti iscritti nel medesimo albo, ancorché in un diverso elenco.  Del resto l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche (profilo sostanziale rilevantissimo della libertà di stampa) è a maggior ragione essenziale e fondamentale per buona parte dei pubblicisti, piuttosto che per tanti giornalisti cosiddetti professionista. E’, infatti, spesso proprio il pubblicista – in pratica il “cronista” – a essere presente sul campo, alla ricerca delle notizie, per informare il pubblico, aspetto basilare ed insostituibile della democrazia. Denunciai la violazione dell’articolo 21 della Costituzione (Libertà di stampa), essendo la protezione assoluta delle fonti giornalistiche momento essenziale della libertà di ricevere le notizie e funzionale alla libertà di darle.
Quale l’importanza della sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta?
Mentre il Tribunale di Enna in primo grado assolse i  giornalisti  per un profilo di carattere procedurale, senza entrare nel merito, la Corte di Appello di Caltanissetta, presieduta dalla Dott.ssa Andreina Occhipinti, peraltro estensore della pregevole sentenza, rigettando l’appello del Procuratore generale ed accogliendo in pieno la nostra tesi giuridica, ha affermato un principio di diritto importantissimo e cioè che anche ai giornalisti pubblicisti compete, in via di interpretazione estensiva ed evolutiva, il diritto di opporre il segreto professionale sulle fonti giornalistiche, che è condizione essenziale della libertà di stampa.
E’ una sentenza storica, saldamente ancorata alla giurisprudenza costituzionale ed anche ai principi del diritto comunitario: è destinata certamente a fare giurisprudenza a livello nazionale.
Può spiegare ai lettori perché è fondamentale proteggere una fonte confidenziale, e proteggere il principio che si possa essere “fonti” senza temere che il giornalista ti metta alla gogna, per la democrazia di uno Stato civile?
E’ fin troppo chiaro che non può esservi libertà di stampa senza protezione del segreto delle fonti giornalistiche. Comprimere o limitare la possibilità per un giornalista di tenere riservate le sue fonti confidenziali – e opporre, pertanto, il segreto – equivale a mettere un bavaglio alla libera stampa. In pratica: nessuno fornirebbe notizie a un giornalista se non fosse tutelata la garanzia del suo anonimato. Il giornalismo di inchiesta, la funzione della stampa come “cane da guardia della democrazia” e di argine anche ai poteri forti, ne risulterebbero pregiudicati.
Ritiene che questo tipo di capi d’imputazione formulati a carico dei giornalisti – oltre al proliferare di querele per diffamazione infondate, che il Parlamento sembra ancora non voler contrastare seriamente attraverso un meccanismo sanzionatorio delle denunce cosiddette “temerarie” – possano essere una delle ragioni per cui la libertà d’informazione in Italia, secondo il rapporto di Reporters Sans Frontieres, sia collocata al settantasettesimo posto al mondo, dopo Paesi come Nicaragua, Senegal, Giappone, Corea del Sud, Tanzania? 
Si. Non vi è dubbio che l’abuso del diritto di querela per diffamazione così come talune inchieste nei confronti della libera stampa possano sortire un effetto di intimidazione. Il caso di cui ci siamo occupati dei due giornalisti ennesi, Trovato e Martorana, che pur di fronte alla minaccia di un procedimento penale hanno – come ho detto ripetutamente nel corso del processo – avuto il coraggio di “tenere dritta la schiena” e mantenere il segreto delle loro fonti confidenziali è, però, emblematico di uno scrupolo per il quale l’amore per la professione e il rispetto della deontologia prevalgono su interpretazioni restrittive e retrive, non costituzionalmente orientate, di norme non linea con i principi costituzionali e comunitari.