Evento di straordinaria portata storica per la città di Enna. Dopo 219 anni il Duomo cittadino torna a risuonare nelle note, delle parole e delle voci polifoniche del brano “Popule meus”, scritto dal maestro di cappella Giuseppe Coppola (padre di Pietro Antonio) nel 1798.
Il brano, frutto di un lungo e certosino lavoro di recupero, riscrittura e riproposizione musicale, verrà presentato in anteprima domani in un concerto inserito nelle manifestazioni della Settimana santa ennese che vedrà insieme il Coro Passio Hennensis diretto da Giovanna Fussone, corpo bandistico Città di Enna guidato da Luigi Botte e orchestra d’archi Eco. La partitura trascritta verrà simbolicamente riconsegnata alla comunità ennese passando dalle mani di Botte a quelle del parroco del Duomo monsignor Francesco Petralia.
La serata, condotta dall’attrice Elisa Di Dio, ha per slogan “fra riscoperte di tradizioni e aneliti di innovazione”. L’ingresso è libero.
Dopo tre anni da quando banda cittadina e coro Passio Hennensis hanno deciso di unire le forze per valorizzare con canti funebri i riti della Settimana santa ennese, i direttori delle formazioni, Luigi Botte e Giovanna Fussone, hanno avvertito l’esigenza di attingere a partiture più strettamente legate alla cultura e alla tradizione locale. Hanno così chiesto di poter avviare una ricerca di antichi brani legati ai riti del venerdì santo ennese: “Ci siamo confrontati – raccontano Luigi e Giovanna – con il parroco del Duomo monsignor Francesco Petralia, il viceparroco don Giuseppe Rugolo, il presidente del Collegio dei rettori delle confraternite ennesi Ferdinando Scillia e lo storico dell’arte Rocco Lombardo. Si sono tutti mostrati entusiasti del nostro progetto e ci è stata concessa una consultazione nell’archivio storico della chiesa madre”.
Sotto la guida di un volume di catalogazione realizzato dalla musicologa e ricercatrice Ilaria Grippaudo, è stata così fatta una prima cernita di partiture e sono stati individuati i brani più strettamente legati alla Settimana santa. Sono state poi nell’aprile 2016 le due coriste Marianna Clobiaco e Letizia Vita a mettere le mani concretamente negli scaffali dell’archivio. “Abbiamo ritrovato e visionato centinaia di pagine tratte da partiture molto interessanti – aggiunge Giovanna Fussone – ma purtroppo la maggior parte di queste presentavano parti mancanti o illeggibili. Poi, all’improvviso, a catturare la nostra attenzione è stato il Popule Meus di Coppola”.
Una volta tirata fuori dall’archivio la partitura è passata nelle mani di Botte che ne ha effettuato la trascrizione e una elaborazione per coro, orchestra d’archi e banda. “Un lavoro per niente semplice – commenta il direttore della banda – molte parti erano completamente illeggibili, da ricostruire. Il mio è stato un lungo lavoro di
restauro, seguito da una trascrizione e una rielaborazione”.
Il compositore ennese Jossy Botte, figlio di Luigi, ha poi espresso il desiderio di rivestire il brano di una nuova introduzione: “Mi sono imbattuto per caso nella partitura che ho trovato sulla scrivania di mio padre – racconta – incuriosito, ho provato a suonarla al pianoforte e mi sono tornati alla mente tanti ricordi legati ai riti della Settimana santa ennese alla quale prendo parte fin da piccolo. È nata così l’ispirazione che mi ha portato a comporre l’introduzione al Popule Meus”.
Contemporaneamente è stata avviata anche una ricerca storica sul brano e sul suo autore e un’analisi della composizione. Alla scoperta della biografia di Coppola e della datazione della sua opera è intervenuto Lombardo, che ha guidato la studentessa del liceo musicale Gaia Maimonte. A occuparsi invece dell’analisi del Popule meus è stato lo studente Michele Savarino (anche lui del liceo musicale), guidato da Sergio La Duca, docente di Teoria e analisi e composizione.
È emerso che, chiamato a comporre per la cappella del Duomo ennese, il napoletano Giuseppe Coppola scrisse questo brano appositamente per la liturgia del venerdì santo, il rito dell’Adorazione della Croce del 1798. L’opera fu composta in chiavi antiche per coro a quattro voci e per l’organico strumentale allora presente in chiesa madre, composto da un quartetto d’archi, due flauti e un contrabbasso. Molto probabilmente, il brano fu riproposto anche negli anni seguenti. “Quello che è certo è che da più di 150 anni lo spartito giaceva inutilizzato nell’archivio della madrice – spiega Lombardo – nel brano si immagina Cristo sulla croce, straziato dagli spasimi e reso sgomento dall’ingratitudine di quel popolo che è venuto a redimere, dal Concilio Vaticano II opportunamente inteso come l’intera umanità. Coppola interpreta magistralmente questo stato d’animo del Cristo-uomo, coristi e musicisti con la commossa esecuzione di questo componimento, da decenni e decenni caduto nell’oblio, contribuiscono a farci meditare sulle parole del Redentore”.
Secondo l’analisi di Savarino, “il Popule meus si svolge nella migliore tessitura ed estensione delle quattro voci, si presenta nella classica disposizione di Basso, Tenore, Contralto e Soprano. La scelta della tonalità di sol minore trasmette un clima nostalgico, malinconico e permeato di tristezza. L’armonia ruota sempre sui gradi fondamentali della scala senza risoluzioni particolari. La prima parte del brano è caratterizzata dalle pause coronate del coro ed esprime l’idea che Cristo aspetti una risposta alla sua domanda, mentre alle parole “Popule Meus responde mihi”, il brano assume una forma più cantabile e discorsiva, anche se successivamente la frase sarà ripresa in maniera più accorata e struggente richiedendo sempre una risposta da parte del popolo”.
Giovanna Fussone e Luigi Botte hanno intanto già annunciato la volontà di recuperare nel prossimo futuro altri brani antichi dallo stesso archivio della chiesa madre.