Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, nota per i Sassi, patrimonio demo-etno-antropologico, oggi è una tra le principali mete di turismo, posizionamento ottenuto anche in seguito al riconoscimento europeo e dell’UNESCO che hanno portato tra le conseguenze, un progressivo disabitamento del centro. Il dato culturale di quanto sta accadendo è complesso, il Prof. Ferdinando Mirizzi, antropologo del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata commenta il dato e quali possibilità ha l’antropologia di muoversi nel campo dei Beni Culturali e del Turismo.

 
 
Internazionale ha pubblicato il 4 settembre “Airbnb riempie Matera di turisti ma la svuota di abitanti”. Qual è lo stato dell’arte?
Fino ad almeno dieci anni fa, gran parte del Sasso Barisano e una parte minore del Sasso Caveoso erano occupate da popolazione stabilmente residente, cioè da materani che avevano preso casa nei Sassi e anche da non materani, tra cui diversi stranieri che erano diventati anch’essi residenti stabili. Pian piano l’aumento del turismo, con un’accentuazione di tipo verticale a partire dal 2014, vale a dire dal riconoscimento della città come Capitale Europea della Cultura, ha progressivamente svuotato i due storici rioni degli abitanti che li avevano ripopolati negli anni precedenti. Oggi i Sassi sono prevalentemente occupati da B&b, pizzerie, negozi di souvenir, presentandosi in sostanza come un luogo di ricezione turistica. E mi riferisco a un turismo per lo più occasionale, così detto “mordi e fuggi”, che recentemente ha avuto uno sviluppo notevole, aggiungendosi in verità a flussi minoritari, e in quanto tali meno percepiti dalla popolazione materana, ma ben nota agli operatori del settore, di turismo di livello medio-alto, maggiormente interessato alla storia della città e consapevole del suo ricco patrimonio storico e culturale. Di conseguenza la condizione attuale di Matera si presenta favorevole dal punto di vista dell’economia, con un aumento del flusso turistico pari al 152%.
Che succede dal punto di vista dell’economia culturale?
Rispetto a un’economia culturale, sembra prevalere una essenzialmente basata sul turismo. Evidentemente manca ancora una capacità da parte della città di gestione del processo turistico che lo indirizzi in modo decisivo sulla strada dell’economia di cultura. Il che in realtà avviene, ma ancora in modo parziale e pressoché esclusivamente in connessione all’organizzazione di eventi:  un esempio per tutti è costituito da Materadio, il Festival di Radio 3 che ogni anno, da sette anni a questa parte, si svolge nel mese di settembre a Matera. Il rischio però è che il visitatore si limiti a una conoscenza superficiale di Matera, della sua storia e delle sue potenzialità sul terreno culturale.
 
Quali le conseguenze connesse ai processi di patrimonializzazione europei o mondiali?
Secondo me siamo in una fase ancora di transizione: il rischio è che il turismo di massa diventi preponderante. Se si riuscirà a governarlo forse non lo diventerà e Matera potrà affermarsi come meta di un turismo culturale. Attenzione, però, perché gli esempi di Venezia e, in misura decisamente minore, di Firenze non sono incoraggianti da questo punto di vista. Le città che diventano Patrimonio UNESCO, che peraltro come Matera ottengono anche altri riconoscimenti, sono esposte alla minaccia di un turismo invadente che finisce con l’occupare tutti gli spazi. Altro processo diffuso nelle città molto turisticizzate è la gentrificazione dei centri storici, che divengono in buona parte zona abitativa “di pregio” con un conseguente cambiamento della composizione sociale e l’aumento dei prezzi delle abitazioni, a svantaggio dei residenti locali; e con lo spostamento coatto in aree meno centrali di attività commerciale e anche di carattere culturale (es. le librerie Dell’Arco e Mondadori a Matera) impossibilitate a sostenere l’aumento dei prezzi dei locali in centro, che solamente grandi imprenditori e catene commerciali sono in grado di sostenere.
La popolazione locale è “a rischio”?
È a rischio la qualità di vita delle persone. Bisogna poi tenere conto che Matera non è solo Sassi, ci sono anche i nuovi quartieri, quelli dove furono trasferiti gli abitanti dei due storici rioni tra gli anni Cinquanta e Sessanta del ’900, che non sono oggetto di visita dei turisti ma la cui mancata conoscenza penalizza una piena ed effettiva conoscenza dei Sassi. Lì non ci va nessuno, come nessuno si reca a visitare il villaggio rurale della Martella voluto da Adriano Olivetti. Poi ci sono i nuovissimi quartieri, dove per lo più risiedono le nuove generazioni materane, che non hanno alcun rapporto con il centro storico e i Sassi. Il rischio, dunque, è lo scollamento tra il cuore della città, che oggi vive soprattutto di turismo, e il resto, ovvero tutte le altre aree della città, che con i rispettivi residenti del turismo non vede assolutamente nulla. Detto questo sul piano generale, in verità occorre anche sottolineare come, negli ultimi due-tre anni c’è stato qualche tentativo di decentrare il turismo o attirarne parte nei quartieri periferici mediante l’organizzazione di eventi culturali ad hoc (es.: Festival Nessuno Resti Fuori, organizzato nel 2016 a Piccanello e la scorsa estate a Serra Venerdì) in aggiunta a progetti di coinvolgimento degli abitanti nell’allestimento e cura di spazi verdi periferici (es. Progetto Agoragri) nell’ottica di un miglioramento della qualità della vita e dell’“attrattività” di tali aree.
In che modo gli antropologi hanno avuto un ruolo nelle vicende di Matera?
Noi antropologi abbiamo lavorato molto in passato nella prospettiva del progetto del Museo Demo-etno-antropologico dei Sassi, che non è inserito nel dossier di candidatura di Matera come Capitale Europea della Cultura,  ma che attraverso il contratto sottoscritto dal Sindaco di Matera con il Presidente del Consiglio, dovrebbe essere destinatario di una significativa quota di finanziamento. A questo progetto è anche legata una ricerca finalizzata al recupero della memoria riguardo alla fase storica in cui i Sassi da una grande città contadina sono diventati una città deserta e vuota, con tutto quello che ne è conseguito e con il successivo rovesciamento dell’immagine divulgata della città: da “vergogna nazionale”, secondo opinioni come quelle espresse negli anni dell’immediato secondo dopoguerra da De Gasperi e Togliatti, a Patrimonio Culturale dell’Umanità e Capitale Europea della Cultura.
 
Attualmente che spazi ricoprono gli antropologi?
Gli antropologi sono stati coinvolti di recente nelle iniziative previste nel dossier di candidatura della città a Capitale Europea della Cultura, all’interno del progetto finalizzato alla realizzazione di un Istituto Demo-Etno-Antropologico (I-DEA), che si configura come una piattaforma digitale di archivi già esistenti come base per favorire nuove produzioni culturali, performance, esposizioni, programmi di ricerca di diverso segno. Attraverso un affiancamento del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata alla Fondazione Matera Basilicata 2019 e la nomina di un comitato scientifico per l’I-DEA di cui fa parte tra gli altri Pietro Clemente, gli antropologi sono chiamati chiamati a lavorare sulle modalità in cui l’antropologia si rapporta al mondo degli archivi e come li utilizza. Come Dipartimento, poi, stiamo per avviare la citata ricerca sulla produzione di testimonianze memoriali, che costituiranno un corpus documentario che confluirà nell’I-DEA.
 
Quanto incidono gli antropologi?
Attualmente è attiva nel processo di attuazione del dossier una molteplicità di soggetti, tra cui una parte consistente è costituita dalla cosiddetta Scena Creativa Lucana, a cui gli antropologi potrebbero dare un significativo contributo. Si tratta di interagire con ricercatori e associazioni che hanno altri obiettivi e si muovo entro orizzonti di tipo concettuale e metodologico differenti rispetto a quello degli antropologi, facendo comprendere come l’antropologia fornisca utili chiavi di lettura della contemporaneità e possa contribuire efficacemente con i propri strumenti euristici alla realizzazione dei progetti che ho qui menzionati, ma anche di altri possibili.

di Valentina Rizzo

 

 

L’intervista è tratta dal sito dell’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia

Oltre i Sassi, le politiche sul patrimonio e l’antropologia