Febbraio all’insegna delle Invasioni. No, non le invasioni barbariche. E nemmeno di quelle che tanto alimentano le chiacchiere da talk show. Al Verga di Catania, lo scorso mese, si è trattato di vere e proprie invasioni di poetica d’amore. Da una coproduzione con il Teatro Stabile di Catania, un altro colpo messo a segno con successo da Alessandro Barilla, Kevin Cariotti, Anna Cutore, Emanuela Dei Pieri, Danilo Ferrari, Antonio Fichera, Alfina Fresta, Angela Longo, Manuela Munafò, Dorotea Samperi, Gaia Santuccio, Carmelo Sciuto, Giovanni Sturiale, Antonino Torre e Patrizia Fichera, gli artisti della compagnia Neon di Catania capitanati da Monica Felloni.
Al teatro inteso come lectio magistralis di vita, nell’esaltazione massima di ogni singolo frammento che la compone, ci eravamo abituati già. E tuttavia non si tratta di abitudine stanca, di assuefazione. Conoscere la poetica e i messaggi veicolati dai “Neon artisti” lascia quella gradevole consapevolezza che, sì, ci si siede in platea sapendo di assistere a qualcosa di meraviglioso e unico. Invasioni promette dei toni più decisivi, violenti. Un po’ come quando si ama alla follia, del resto. La violenza della bellezza che prepotente si staglia sugli orizzonti di un cieco quotidiano, tutto preso dalla propria traiettoria senza vedere né ascoltare.
Se a novembre Ciatu attraversava l’anima come una gradevole brezza, stavolta Invasioni è un fiume in piena. Sul letto del fiume confluiscono l’estro e la poetica di Neon e le bellissime, quanto potenti, immagini del fotografo italo-palestinese Mustafa Sabbagh, cui lo spettacolo è dedicato.
“I corpi sono parole”, nella strutturazione tipicamente complessa delle performance targate Felloni-Ristagno, siamo niente altro che questo: parole. Anzi, storie. Siamo opera omnia, capolavori della nostra stessa esistenza, messi a tacere dalla paura che sordida si insinua fino a fare da muro tra l’io e il tu. Non a caso, lo spettacolo si suddivide in capitoli, esattamente cinque: “la bellezza ferisce”, “la necessità della fuga”, “la pelle della Terra”, “XI Comandamento: non dimenticare”, “ogni preparativo è fatto”.
La regia, anche stavolta, ha saputo mescolare con maestria e delicatezza testi di William Shakespeare, Walt Whitman, Piero Ristagno, Danilo Ferrari, Stefania Licciardello, Federico Ristagno. I backdrops e le tracce audio originali sono di Mustafa Sabbagh, mentre i video sono di Jessica Hauf
Ridotti al silenzio, resi sordi e accecati dalla paura, Invasioni ci costringe a guardare la bellezza oltre quel muro. Un panorama senza fine, in cui al bel canto di Alfina Fresta si intrecciano la leggerezza della danza aerea di Gaia Santuccio e la massima espressione di ogni potenziale umano e creativo che si estrinseca nelle coreografie di Manuela Partanni.
Il contatto, voluto e cercato attraverso prospettive dimensionali che giocano con i corpi, questa volta è l’aedo per eccellenza. C’è lo stare insieme, senza dimenticare che condividiamo tutti lo stesso cielo, nella consapevolezza che ogni corpo ci parla di armonia e perfezione.
Ed è questo il punto su cui Invasioni ci spinge alla dovuta riflessione: meglio la paura quale potente anestetico socio culturale o meglio il coraggio e l’intraprendenza giusti per saltare quel muro ed aprirsi all’accoglienza? Quest’ultima non è atto di pietà, non mero buonismo. È, semmai, apertura alla conoscenza e alla ricchezza. Invadersi, reciprocamente, conoscere l’identità di quel “tu”, che sia il dirimpettaio o un’identità sconosciuta e stanca, giunta da molto lontano.
Raccogliere e dare, donarsi. Sentirsi liberi di calpestare suolo e vivere la pienezza. Quanti pezzi di esistenza sacrifichiamo sull’altare della paura? Chi invade chi? Ad ogni contatto ci si scambia informazioni, le vite si mescolano per qualche istante, ci si contamina. Oltre la paura, c’è la vera essenza dell’animo umano.
Alessandra Maria