di Nunzia Villella 

I fatti di cronaca che hanno reso necessario istituire  la Giornata contro la violenza sulle donne, ci portano ad analizzare i campanelli d’allarme che possono (come conseguenza di rapporti tossici) portare ai tragici fatti che ormai conosciamo bene. Uno di questi è un sentimento antico e naturale, che nella sua estremizzazione può diventare un pericoloso inquinamento delle relazioni amorose. Anticamente la gelosia era di prerogativa maschile, serviva infatti a tutelare l’uomo di casa dal rischio di allevare figli che non fossero suoi, e in questo processo la femmina assicurava che il cibo e la sicurezza del nido fossero garantiti solo alla prole legittima.
Il maschio  si sentiva autorizzato ad essere geloso per impossessarsi del corpo della femmina, considerato  contenitore di figli , e in alcune società che attualmente hanno conservato questa visione, l’accertamento della verginità o pratiche crudeli come l’infibulazione, consentono al maschio di continuare a esercitare il “diritto” di possesso. Nelle società evolute, nonostante una visione più moderna della vita, la gelosia continua a influenzare e limitare i rapporti umani. Perché?  Senza volerne giustificare gli estremismi, la condanna a prescindere di questo sentimento, così come il giudizio dei suoi effetti, non ci porterà mai a nulla se prima non ne comprendiamo la complessa origine, anche perché , nella sua dimensione non patologica, è una componente naturale della relazione. La gelosia, infatti, nasce sempre da una modalità difensiva.  E se i contemporanei  vogliono abbandonare le prime analisi psicoanalitiche di Freud, che ce lo spiegava con il Complesso di Edipo, in cui il dramma della gelosia appare quando il bambino diventa geloso del genitore dello stesso sesso per coltivare in maniera privilegiata l’amore per il genitore del sesso opposto (modalità  che  in casi particolari  potrebbe permanere   per le persone  che amerà in futuro sentendo  il bisogno di possederle) possiamo  andare oltre, e rileggere Aldo Carotenuto, junghiano contemporaneo,  secondo cui la paura di essere rifiutati o traditi o abbandonati, sono incubi che terrorizzano nell’infanzia e  che permangono  come  spettri  nell’età adulta. 
E’ bene capire che la gelosia è sempre eco di un’esperienza vissuta come abbandonica. Ed è il terrore dell’abbandono che ci spinge ad essere gelosi , dunque  tutto ha origine nelle relazioni primarie ossia nell’infanzia e nella famiglia d’origine.  Sapere questo può aiutarci a  comprenderne gli eccessi, e superare il pregiudizio ad ogni costo e dunque la  banalizzazione  di questo sentimento oggettivamente arretrato e dannoso (quando non compreso o non vissuto coscientemente) che di fatto nella sua degenerazione, rappresenta l’antitesi della passione vera, dell’intimità che ci porta a vivere il sentimento amoroso nella sua accezione più bella e vera: il dono.  Perché l’amore è un dono che si fa all’altro. In tema di “gelosia estrema” molto è stato fatto  e detto.  La mobilitazione sociale del 25 Novembre dimostra che ogni anno la sensibilizzazione cresce sempre di più. Le istituzioni, il mondo dell’associazionismo e i media stanno facendo molto. Da queste considerazioni   e dall’apertura mentale raggiunta, emerge una riflessione: come mai il fenomeno non si arresta né diminuisce? Forse è su questo punto che adesso dovremmo concentrarci. E, con l’ausilio di professionisti del campo, bisognerebbe spiegare ai gelosi ossessivi che quel tipo di gelosia cela spesso la proiezione del proprio desiderio di infedeltà…