Un incontro con la spiritualità indiana e lo yoga è in programma sabato 15 dicembre alle 18 nel salone della Pro Loco di Leonforte, presieduta da José Trovato. Ospite il giornalista e autore catanese, nonché palermitano di adozione, Antonio Ortoleva, già responsabile della cronaca di Enna del Giornale di Sicilia. Il quale presenterà il suo libro-reportage “C’era una volta l’India e c’è ancora””, (Navarra editore, 12 euro), frutto dei suoi viaggi nel subcontinente indiano. Relatori, dopo un’introduzione della giovane docente leonfortese Stefania Lombardo, saranno il professore Basilio Varveri e il dottore Salvatore Conoscenti.
Questo, scrive Ortoleva, è “il viaggio per antonomasia, il viaggio-viaggio verso l’umano più profondo”. A scorrere le pagine di “C’era una volta l’India e c’è ancora” ti imbatti nell’odore delle spezie con valore terapeutico, negli italiani che vivono lì, nel popolo delle prostitute, l’etnia che alleva le bambine a vendere il corpo da grandi, nei ristoranti dei poveri, persino nei consigli utili per attraversare una via caotica in città. Ma il capitolo forse più interessante riguarda la spiritualità, piccola antologia che riassume il pensiero dei principali mistici. Compreso quello del fondatore dell’India moderna, il Mahatma Gandhi, che portò il Paese all’indipendenza e alla democrazia senza sparare un colpo.
Antonio Ortoleva, cosa è stata e cosa rappresenta l’India per te e perché hai compiuto numerosi viaggi?
“Andare in India, scriveva Jung, è come andare allo specchio: o ti fa fuggire via o ti cambia la vita. A me è accaduta la seconda opzione e spiego perché. L’India può essere maleodorante, la cucina troppo speziata per gusti occidentali, la donna vive sotto un rigido controllo familiare, i poverissimi sono forse centinaia di milioni, guidare un’auto è impossibile per noi in mezzo a un traffico diabolico dove tutti suonano il clackson in modo intermittente, alcune malattie come la lebbra e il vaiolo non sono del tutto debellate, eppure…”
Eppure? Sembra un quadro desolante che spingerebbe chiunque a non andare mai…
“Eppure…Jung parlava dello specchio come metafora dell’incontro totale con sé stessi e non tutti sono pronti a farlo. Non c’è un luogo al mondo dove più forte è la percezione di non essere solo, come diceva Tiziano Terzani, perché comprendi di essere in connessione con il mondo che ti circonda, di far parte dell’universo, anche se quell’universo lì, a prima vista, può apparirti del tutto estraneo, incomprensibile, addirittura ostile. Ecco perché, al primissimo viaggio puoi essere assalito dall’ansia e persino dall’istinto di andare via”.
Che cosa dunque incanta dell’India se gli aspetti che respingono sono così numerosi?
“In Italia, come in tutto l’occidente, e anche nelle zone più periferiche, siamo spinti senza tregua ad andare avanti dalla smania del progresso, un termine stupendo sino a 50 anni fa quando uscimmo dall’epoca della fame e del grande sfruttamento di masse contadine tenute spesso in semi-schiavitù. Il progresso ci ha condotti al benessere generalizzato, alla sconfitta di molte patologie e ai diritti civili e sociali che sono una nostra prerogativa, mentre in altre aree del mondo sono poco o nulla garantiti. Ma oggi il progresso è senza freni, non ha più limiti, è coordinato, diretto e imposto dalle grandi industrie e dalla finanza secondo le leggi del profitto di pochi, a scapito della natura, della morale condivisa, a scapito del nostro futuro. Viaggiamo su una Tav senza freni che non sa dove andare e quando fermarsi. Un treno così è destinato nel burrone”.
In India hanno la bomba atomica, alta tecnologia, grattacieli e metropolitane e un numero considerevole di miliardari..
“E’ vero, la modernità è arrivata da tempo. E convive con il vecchio cuore di quel grande paese, un cuore millenario, considerato nel mondo il cuore millenario della spiritualità e del benessere interiore. Da qui il titolo del mio libro, C’era una volta l’India e c’è ancora. Viaggiatori, grandi artisti e intellettuali, da Hermann Hesse ai Beatles, fino ai nostri scrittori come Pasolini, Terzani, grandi registi come Rossellini, sono stati irrimediabilmente attratti dal luogo “dove tutto ebbe inizio“.  La prospettiva italiana sull’India era il tema di una mia recente conferenza all’università di Lisbona, accanto al professor Shiv Kumar Singh, direttore del dipartimento di Studi indiani della Faculdade de Letras. Anche reporter e giornalisti hanno provato a raccontare la terra degli dei e delle contraddizioni e quel magma umano in continua trasformazione. E tentando di raccontare un Paese come quello, che ne racchiude mille o centomila, la prima domanda è: da dove cominciare?”
Tu da dove hai cominciato?
“Io, da giornalista abituato ai reportage, ho inserito subito un elemento che potesse condensare i due aspetti di un grande tema: la tradizione e la modernità. Quindi ho cominciato dalle vacche sacre. Un tema in apparenza scontato ma che nasconde una sorpresa e spiega subito quel titolo. Nel centro e sui viali della capitale Nuova Delhi, come in altre grandi città, i bovini-icona dell’induismo non pascolano più in libertà. Sono, di fatto, spariti. Tranne che nei mercati e in periferia, seppur puoi incontrarli d’improvviso in autostrada. Il motivo è semplice: un microchip obbligatorio, come per l’anagrafe canina, inventato da un ingegnere indiano, fa risalire al proprietario della bestia che verrà multato per intralcio al traffico. Metafora di un Paese con oltre un miliardo di persone che si inoltrano a grandi passi verso il futuro, tenendo ancorato il proprio baricentro e la propria essenza spirituale e antropologica, ai millenni da cui provengono”.
Yoga, medicina ayurvedica, spiritualità, spezie che guariscono: ma Antonio Ortoleva, vorresti spiegare a che cosa può servirci qui, occidente, diventare un po’ indiani?
“Nel mio itinerario di viaggio, che è geografico e anche spirituale, ho fatto una scoperta. Ho scoperto che il tempo esiste. Proviamo tutti noi, così logorati dalla fretta e dalla ricerca del tempo perduto, a immergerci nella cultura e in un clima fatti solo di presente, del “qui e ora”. Perché il passato, spesso gravido di macigni e di rimorsi, nonché il futuro che ci imprigiona talvolta nell’ansia – patologia del secolo – in India sono poco considerati. Tutto il tempo dell’umanità è condensato nell’attimo presente che la vita ti regala e va gustato sino in fondo. Schopenhauer, che aprì le porte dell’intelletto all’India e all’induismo, sviluppò il suo pensiero proprio sul tempo come presente, come eterno susseguirsi di istanti. E Osho, uomo dal grande spirito, uomo calunniato e forse ucciso in una congiura internazionale, afferma: “Il tempo è formato solo del passato e del futuro, è la vita che è fatta di presente. Quindi, recuperare la nostra vera essenza, liberarci dai pensieri angosciosi del domani può essere la medicina per una vita migliore.”