di Angela L. Di Fazio
Il 2 giugno di 73 anni fa, le donne votarono per la prima volta. Probabilmente non tutte erano consapevoli di quello che stavano vivendo, la maggior parte di loro votò con ogni probabilità quello che diceva il marito, il parroco, il padre o il fratello. Ma alcune, pochissime, furono libere nella scelta, assertive pubblicamente, armate di scheda, matita e sorrisi. Molte andarono al voto insieme, coalizzandosi quasi come se avessero già capito che era stata vinta una battaglia e non la guerra. Gli uomini in verità pensavano che non fossimo pronte. I tempi di noi donne sono da sempre un mistero per loro, che cercano di capire ma spesso non ci riescono. Pronte alla scelta, democraticamente consapevoli. Dall’interdizione alla capacità. Potevamo scegliere per la prima volta, per noi e per l’Italia. Ma non potevamo essere scelte. Non ancora.
Viene da lontano la nostra libertà, il sacrosanto diritto di esserci, il dovere di dire la nostra. E dovremmo ricordarcelo ogni giorno, ogni volta che calpestano con le scarpe la nostra schiena fragile, ogni volta che ci passano avanti in virtù dell’arroganza, quando siamo “il corpo debole” da annientare e quando ci confinano tra le quote di qualsiasi colore. Il 2 giugno 1946 siamo state cittadine per la prima volta. E ancora molte volte, questo ruolo dobbiamo difenderlo con i denti. Le suffragette vinsero una battaglia, altre le abbiamo vinte dopo. Dovremo vincere anche la guerra, lo dobbiamo a quelle che verranno dopo di noi. E possiamo farlo ognuna dove si trova. Senza svendersi al primo compratore, senza sorvolare su quello che ci offende, senza gesti teatrali da replicanti di second’ordine, senza morire tacendo quando non dovremmo. La vinceremo questa guerra. Prima però. Il poi è un avverbio che non ci piace più.