di Pinella Crimì

È arrivato. Preannunciato dai bollettini meteo e dalle immagini rosso fuoco che incombono su tutto il Bel Paese, in ritardo sulla tabella di marcia, sua maestà il caldo ha finalmente fatto il suo trionfale ingresso anche dalle nostre parti.
Forse, però, abituato com’è ad essere il protagonista delle torride stagioni estive, stavolta ha preferito un’irruzione spettacolare, con un passaggio improvviso direttamente dall’inverno, senza passare dal VIA. E così, da un giorno all’altro, il popolo italico si è trovato dal termosifone al condizionatore, da cercare per monti e per mari.
Peccato, però, che giugno costringa ancora la gente a vivere il quotidiano del lavoro, da raggiungere con i mezzi pubblici o passando per l’inferno del traffico mattutino e pomeridiano, in quella fascia oraria in cui il Tg2 e Studio Aperto invitano calorosamente a non uscire da casa. E quello che sembrava normale con tredici gradi diventa improvvisamente intollerabile quando la temperatura si alza e i raggi del sole picchiano implacabili, nonostante tutti gli accorgimenti, frutta e verdura compresi. In quel momento della giornata che va dalle 8.00 alle 10.00 del mattino, Mr. Hyde prende possesso di tutti i distinti Dr. Jeckyll, trasformandoli inesorabilmente. Ed ecco che fai fatica a riconoscere anche te stessa, perché quella che sbraita quando qualcuno per sbaglio la sfiora sulla metropolitana non puoi essere tu, come non ti riconoscerebbe neanche tua madre quando, allo scattare del verde al semaforo, ti attacchi al clacson incurante del fatto che non sei l’unica ad avere caldo e che, soprattutto, la mano ti resterà attaccata al volante anche contro la tua volontà.
 Per non parlare delle reazioni alla domanda dell’ora più calda: “Mamma, che cucini oggi?”. Passi dal fingerti morta ai brontolii incomprensibili che diventano il sottofondo della giornata e di almeno due o tre settimane a venire. Perché in estate faresti fatica anche ad arrabbiarti. Però, poi, ti guardi intorno e vedi che anche i tuoi simili sono messi come te e provi quel moto di umana solidarietà dovuta alla comune natura umana, che invoca la neve a giugno e il sole a dicembre. Perché la crisi, quando arriva, arriva. Ecco che il tizio che urla contro tutti perché ha fretta di fuggire dalla canicola improvvisamente suscita le tue simpatie, perché ti ha sollevato dall’incombenza di doverlo fare tu, e gli improperi contro i giovani che girano in canottiera e pantaloncini, in realtà, nascondono il malcelato desiderio di voler andare in giro svestita come loro, ma di non poterlo fare perché hai un ruolo da ricoprire “con disciplina e onore”.
 Allora capisci perché il telegiornale ti dice di restare a casa: si tratta di salvaguardare il benessere sociale delle persone, quando non la loro stessa incolumità fisica.
Ma finalmente è finita la giornata. È l’ora dell’agognato ritorno a casa. Penso di godermi il tramonto, guardando l’infinito dell’orizzonte e sperando che la notte sia più clemente. Il pericolo, però, non è ancora passato: i neuroni ancora soffrono trafitti dal sole e ho bisogno di sfogarmi, ripensando al tizio che si è permesso di passarmi accanto e di respirare la mia stessa aria o all’altro che non voleva proprio sentirne di partire al semaforo. Accendo il telefono, accedo ai social, leggo le ultime notizie politiche. Quale occasione migliore per vendicarmi del fatto che Apollo ha portato il suo carro troppo vicino alla mia augusta persona? E allora comincio a scrivere, scrivere, scrivere. Cosa scrivo? Qualsiasi cosa, purché chi solo provi ad invadere la mia parte di mondo sappia che, con questo caldo, divento onnisapiente, onnisciente e, soprattutto, in grado di sentenziare su tutto e su tutti. Tanto sto in terrazza, al fresco, dietro una tastiera. Chi se ne accorgerà mai? E, se qualcuno dovesse soffrire per quello che ho scritto, posso sempre dare la colpa ai cambiamenti climatici, al sole e al surriscaldamento globale. Un altro a cui dare la responsabilità, con questo caldo, vuoi che non si trovi?