Italia-Cina, ottavi di finale del campionato mondiale di calcio femminile.
Le azzurre conducono sul 2-0 una partita disputata magistralmente. 
Al ‘74 minuto parata di Laura Giuliani, portiere dell’Italia. 
La telecronista precisa: “portiere, non portiera. Giuliani ci tiene ad essere chiamata portiere”.
Alzo il volume e ascolto attentamente i commenti successivi: “E’ una questione di linguaggio. Le giocatrici dicono no alla declinazione femminile dei termini ad ogni costo, anche quando questi possono risultare cacofonici. Invece vogliono che passi un’interpretazione neutra del ruolo, perché è questo che conta, più che stravolgere e forzare il linguaggio”.
Insomma l’arbitro arbitra e il portiere difende la porta. Maschio o femmina che siano. 
Sull’argomento non si contano le annose dispute politiche, dottrinali e accademiche. Un terreno molto scivoloso nel quale, in verità, nessuno potrà mai avere ragione, poiché ad avvicendarsi non sono che meri punti di vista: politici, dottrinali o accademici. Comunque soggettivi. 
C’è chi considera vangelo le ‘raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana’ di Alma Sabatini e chi, pur consapevole che in questo mondo spesso la forma è sostanza, ritiene trascurabile e marginale la battaglia delle ‘o’ e delle ‘a’. 
Perchè il fatto che a livello globale le donne lavoratrici guadagnino il 23% in meno degli uomini e che l’Italia sia la penultima in Europa per occupazione femminile (l’ultima è la Grecia), è un fatto negativo e assoluto da osservare nella sua piena oggettività.
Visto quante ‘contraddizioni’ in poche righe? Giocatrice, portiere, arbitro, lavoratrice. 
Tutti ruoli ricoperti da donne ma declinati in modo ibrido.  
La lingua italiana è perciò sessista? Io non credo. Esistono generi grammaticali basati su regole ben precise. Certamente emendabili, ben vengano eccezioni e innovazioni opportune e significative. Ma magari non proprio ‘portiera’, che secondo il Garzanti vuol dire ancora lo sportello di un autoveicolo. 
Buon proseguimento ai quarti di finale alle nostre azzurre, dunque. E complimenti per gli straordinari risultati fin qui ottenuti in quanto eccellenti sportive e non in quanto donne. 
Pari trattamento. Pari dignità. Parità di genere. 

Adriano Licata