In una celebre tragedia di Sofocle, Antigone decide di dare una degna sepoltura al fratello Polinice – ritenuto traditore della patria – nonostante ciò fosse stato imperativamente proibito da un editto del nuovo Re di Tebe, Creonte, il quale aveva comandato che quel corpo divenisse pasto per cani e avvoltoi poiché immeritevole di pietà. Antigone disobbedì e fu così imprigionata in una grotta, dove si tolse la vita impiccandosi. Violò con coraggio le leggi del sovrano per obbedire alle leggi non scritte degli dei.
Specie per chi studia diritto, approcciarsi al caso Sea Watch 3 attraverso la mitologia greca non è cosa semplice. Ma aiuta a rendere l’idea di come in Italia sembri diventato impossibile argomentare con parole proprie per rispondere al frullatore mediatico che mischia una caterva di argomenti tra loro slegati. Ormai della capitana Carola Rackete si è letto tanto e detto fin troppo. E comunque la maggioranza dei membri non togati della Corte di Facebook ha deciso inappellabilmente che ha torto, ancorchè non vada crocifissa ma solo arrestata (e al massimo “violentata dai neri”, come qualche balordo ha auspicato a Lampedusa).
Certo, se volessimo andare oltre gli slogan della ributtante propaganda di Salvini&assimilati e aldilà della sterminata ignoranza interplanetaria di molti suoi seguaci, potremmo parlare pure della Convenzione di Amburgo, del perché la nave non ha virato verso Tunisia o Libia o delle leggi sulla navigazione e il soccorso. Potremmo discutere del fatto che, essendo la Sea Watch 3 una nave straniera, non si potrebbero applicare i tanto invocati articoli 1099 e 1100 del Codice della navigazione, o dell’articolo 54 del codice penale che esclude la punibilità di chi abbia commesso un fatto costituente reato perché trovatosi in stato di necessità. E dovremmo richiamare l’articolo 10 della Costituzione che fa obbligo al nostro ordinamento giuridico di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Ragionamenti pallosi e arzigogolati, se rapportati a quelli più eccitanti e semplici di chi invitava ad affondare la nave a cannonate, lo capisco. Ma chi non li regge potrebbe sempre passare la domenica ai tornei di beach volley o a imparare i balli di gruppo con le canzoni di Baby K organizzati presso i lidi della playa. La verità è che il punto della discussione, più che giuridico, è squisitamente politico/legislativo. Parliamoci chiaro. La strategia della tensione favorisce le destre estreme. E’ da sempre la più efficace arma di distrazione di massa che permette di tenere la nazione ostaggio dell’argomento e la sinistra all’angolo del buonismo. Il braccio di ferro con la ONG Sea Watch 3 recante 42 disperati a bordo, ad esempio, è una spettacolare presa in giro, puro teatro d’intrattenimento a prova di telecamere, se si considera che nell’ultimo mese a Lampedusa sono sbarcati più di 300 immigrati direttamente tramite i barconi condotti dagli scafisti.
Altro che porti chiusi!
Se a Salvini togli il leit motiv dell’invasione rimane come una lapa senza benzina, a bocca asciutta. Il Governo italiano dovrebbe seriamente insistere e impuntarsi con l’Europa per modificare il Regolamento di Dublino e rivedere i criteri in esso contenuti che, per via della sua posizione geografica, svantaggiano l’Italia. E invece presta il fianco a quei paesi membri che ne impediscono l’emendamento e che si oppongono all’equa distribuzione degli arrivi. Il Ministro dell’Interno italiano era assente – ma va? – all’ultimo vertice europeo su immigrazione e rimpatri perché ha preferito presenziare a Pomeriggio5 dalla D’Urso (ha saltato 6 riunioni su 7). E negli ultimi anni la Lega ha disertato tutte e 22 le riunioni di negoziato per riformare il Regolamento. Buffoni.
Se la condotta di Carola Rackete costituisce reato, dunque, lo stabilirà la magistratura giudicante (ammesso che venga rinviata a giudizio), a differenza di quanto questa abbia potuto fare con Salvini, che si è avvalso dell’immunità sul caso Diciotti per sfuggire al processo. Se ha trasgredito l’editto di Creonte, la capitana se ne assumerà la responsabilità. Ma in fin dei conti sarà come sempre la storia, un giorno, a descrivere la statura dei viventi di oggi.
Racconterà di una donna di 31 anni, al comando di una nave soccorritrice, che dopo aver trascorso 17 giorni in mare ha disobbedito alle leggi ordinarie italiane per mettere in sicurezza 42 disgraziati scappati dalla fame, così come impongono i principi fondamentali del diritto internazionale. E sempre la storia narrerà di uomini piccoli piccoli, alcuni “bassi, pelosi e terroni” (cit.), che col sangue agli occhi hanno trasformato l’Italia in un posto dove si odia il prossimo con scioltezza e senza ritegno perché era troppo complicato fermarsi a ragionare.

Adriano Licata