di Salvatore Timpanaro *

Difenderei Carola Rackete, capitano della Sea Watch 3, ingiustamente detenuta, senza alcuna perplessità sul piano giurIdico-penale e prima ancora sotto il profilo costituzionale.
La difenderei, battendomi per lei come un leone.
Prima di invocare la chiara applicabilità dell’articolo 54 del codice penale (esimente dello stato di necessità), va posta la questione della illegittimità costituzionale del “decreto sicurezza bis” per violazione di molteplici norme costituzionali: gli articoli 2 (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale), 3 (principio di eguaglianza e criterio di ragionevolezza) e soprattutto 10 (L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute) e 117 (La potesta’ legislativa e’ esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche’ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali).
Come viene sancito dall’articolo 10, l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; ciò comporta un “rinvio mobile” ovvero un adattamento automatico di tali norme nel nostro ordinamento.
Ciò che in tutta questa vicenda appare manifestamente illegittimo sia dal punto di vista del diritto costituzionale italiano sia del diritto internazionale è, quindi, proprio il c.d. decreto sicurezza bis.
L’obbligo di soccorso in mare è previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario, sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro ordinamento hanno valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117 della Costituzione). Per previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si conclude solo con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in cui la loro vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro garantiti.

* Avvocato penalista e civilista del foro di Enna (commento tratto da Facebook)