di Josè Trovato

Il caso dei 42 migranti sbarcati a Lampedusa a bordo della nave Sea Watch e dell’arresto della sua giovane capitana non ha aperto solo un feroce dibattito di politica internazionale. Le posizioni le conoscete, perché oscillano tra due estremi: chi sostiene la linea dura del Governo a tutti i costi, chiedendo anzi di inasprire ulteriormente i toni e “affondare le navi”; e chi è convinto che salvare delle vite in mare merita sostegno, “senza se e senza ma”. Ma a riaffiorare nei social network, così come in certi organi di stampa e nei commenti degli articoli, è soprattutto un preoccupante sentimento diffuso di misoginia (dal greco μισέω misèō, “odiare” e γυνή gynḕ, “donna”).
La vittima del giorno è proprio il capitano, o “la capitana”. Se il comandante della Sea Watch fosse stato un uomo, oggi forse non saremmo neppure come si chiama. Nessuno, o in pochi, ricordano il nome dei comandanti delle altre navi di Ong che in vari momenti si sono trovati a soccorrere i migranti a largo delle nostre coste.
Carola Rackete però è una donna, e per di più giovane, intelligente e di buona famiglia. Ed ecco che la “vulgata” degli haters si trasforma in sessismo. Gli uomini che odiano le donne, un secondo e mezzo dopo aver visto le immagini in tv o aver letto qualche stupida fake news, tirano fuori il peggio di sé, declinando con padronanza otto o nove sinonimi della parola meretrice, accompagnandoli allusivamente da emoticon da salami repressi (e dietro i monitor, ne sono certo,  da un’altrettanto inguardabile faccia da pesce lesso). Altri, intimamente invidiosi dell’anatomia degli uomini di colore, iniziano a fare allusioni sulle “vere ragioni” dell’impegno della capitana. Una tristezza infinita. E chi fa notare che, in effetti, dire cose del genere sarebbe vergognoso, allora è un “comunista”, un “buonista”, un “amico di Renzi e della Boldrini, dunque delle banche”, un “amico dei trafficanti di esseri umani”, un “bigotto”.
Credo che non lo sappiano neppure, ma il loro leader spirituale proviene dal Terzo Reich. Adolf Hitler diceva che “una donna deve essere una piccola cosa carina, carezzevole, ingenua, tenera, dolce e stupida”.
E le altre donne, in questo dibattito, che posizione prendono? Spiace dirlo, ma, aimè, nella maggior parte dei casi si lasciano trascinare pure loro nella melma sessista.
Ricordate Ray Parkins? Era un personaggio dello straordinario film di Clint Eastwood “Coraggio… fatti ammazzare”. Una donna che incitava i suoi amici a violentare due ragazze. Alla fine Jennifer, la vendicatrice salvata dall’ispettore Callaghan, la uccide per vendetta. Certe donne nei social mi ricordano proprio quella scena, lo stupro di gruppo e la donna che fa il tifo per i violentatori.
Questo perché molte donne che oggi criticano la giovane capitana (per fortuna non tutte, come non tutti gli uomini), non si fermano al commento: “Portatela in carcere”, “Arrestatela” – frasi già di per sé deprecabili e inaccettabili, perché pronunciate in nome di leggi (forse) violate, in barba a quella legge che stabilisce come nessuno, in Italia, possa essere ritenuto colpevole finché non intervenga una sentenza passata in giudicato (ma tanto il garantismo vale per “noi”, per lo zio mafioso, per l’amico parlamentare corrotto, mica per gli “altri”) –, ma va oltre. Tante donne, dicevo, vanno oltre. Incitano a stuprarla e le danno della “cessa” (ché la colpa della capitana, evidentemente, è di non aver trovato il tempo per passare dall’estetista o dalla parrucchiera come loro, che con il casco in testa ci passano la vita, prima di farsi immortalare a bordo della sua nave). Una donna, nei social, ha scritto: “Se fossi conciata così… Forse anche io mi dedicherei a fare la scafista”.
Benvenuti in Italia. Terra di navigatori, di santi, di eroi e, soprattutto, di poeti, dove l’uomo che ci fa arrabbiare è uno stronzo, la donna una…

Definizione della Treccani