di Josè Trovato

Enna. La Dda di Caltanissetta chiede quattro condanne, con pene da 8 a 16 anni di reclusione, per gli imputati del processo con rito abbreviato per le estorsioni sui lavori di scavo e messa in opera della fibra ottica a Noto, Augusta, Palazzolo Acreide, Catania e Santa Maria di Licodia. Opere per cui la vittima, un ennese, si sarebbe trovato a pagare il pizzo a tutti i referenti di zona dei clan mafiosi: i Cappello-Bonaccorsi per le cittadine del Siracusano, i Santapaola-Ercolano a Catania e Santa Maria. Il pm Roberto Condorelli, Procuratore aggiunto di Caltanissetta, ha chiesto, nel dettaglio, 12 anni e 8 mesi di reclusione per il mafioso ennese Salvatore La Delia, difeso dall’avvocato Sinuhe Curcuraci; 8 anni e 8 mila euro di multa per l’imprenditore ennese Eduardo Mazza, difeso dall’avvocato Piero Patti; 16 anni e 16 mila euro di multa per il catanese Filippo Scalogna, difeso dall’avvocato Salvatore Sterlino; 10 anni e 10 mila euro di multa per Antonio Salvatore Medda, originario di Enna ma residente nel capoluogo catanese, difeso dall’avvocato Claudio Galletta.
Il processo si svolge a Enna con rito abbreviato dinanzi al collegio penale, con in testa il presidente della sezione penale del Tribunale ennese, Francesco Paolo Pitarresi, perché solo in questa sede è stata accolta la richiesta dei difensori, respinta dal gup di Caltanissetta, di giudizio abbreviato condizionato. Ora il presidente Pitarresi ha rinviato il processo al 16 gennaio per le arringhe dei difensori. Altri imputati sono sotto processo con rito ordinario.
L’inchiesta, si ricorda, è stata condotta dagli agenti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Enna, e ha rivelato presunti intrecci mafiosi tra Cosa Nostra ennese e le organizzazioni attive nel catanese e nei paesi siracusani. Dalle attività investigative sarebbe emerso che il corebusiness della mafia sarebbe lo stesso di sempre: le estorsioni ai danni degli imprenditori. E anche le tecniche usate non sono mutate rispetto al passato: la cosiddetta “messa a posto” sarebbe stata perpetrata ai danni di imprenditori edili, costretti a sborsare ingenti somme di denaro. Enna, per i clan del Catanese, sarebbe stata una zona cuscinetto, soprattutto per esigenze di natura logistica. Ma in questo caso i referenti del clan locale si sarebbero rivelati utili per riscuotere il pizzo ai danni di un imprenditore ennese.
Secondo gli inquirenti, l’imprenditore vittima sarebbe stato costretto a pagare 8 mila euro, poco prima di Natale del 2016, per la messa a posto sui lavori a Noto, Augusta e Palazzolo Acreide (finiti nelle “casse” del clan Cappello); e costretto mensilmente a pagare a Cosa Nostra, da giugno a dicembre 2017, una sorta di “stipendio” di 600 euro al mese, per i lavori svolti a Catania e Santa Maria di Licodia.