È domenica sera, già siamo nella segregazione imposta da questo maledetto virus . Completamente isolato e fuori dal mondo, apro un comunicato stampa di cordoglio inviato da una forza politica. È una doccia fredda, anzi gelata: “…Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze per la scomparsa dell’ex consigliere provinciale Giuseppe Regalbuto…”. Una doccia gelata nel freddo di un già drammatico mese di marzo. Proprio tu, caro Giuseppe, amico mio, lontano anni luce dalle mie ideologie politiche ma legato da un solido cordone ombelicale in merito ai valori della difesa e tutela dei disabili.
Quante volte a qualsiasi orario ti ho scassato i “cabbasisi” chiedendoti incessantemente consigli su come avrei dovuto o potuto comportarmi in merito a questa o a quella battaglia o a quel ricorso da fare per tutelare la disabilità, in merito alla quale avevi una sensibilità fuori dal comune, e tu, a qualsiasi ora, mi richiamavi, sempre pronto, sempre disponibile, con la tua preparazione giuridica: “Mario, non ti preoccupare, ti metto a disposizione gratuitamente gli avvocati dell’Anglat, questa battaglia la portiamo avanti assieme”. E come ti incazzavi quando vedevi che qualche ente pubblico non rispettava i disabili. Quanti comunicati mi hai inviato al tempo in cui collaboravo con il Quotidiano di Sicilia, denunciando la querelle “Pasquasia”. E com’eri felice il giorno del tuo matrimonio. Ed ancora: ti incontrai per caso in ospedale il giorno della nascita del tuo bambino con i tuoi occhi che trasfondevano la tua gioia di essere papà. Immagino la tua dolce moglie, che non ho avuto mai il piacere di conoscere e lo strazio che stará provando insieme ai tuoi genitori. E sono incazzato, perché non posso, a causa di questo maledetto virus, venire a Barrafranca ad onorarti. L’unica cosa che potrò fare, passata questa emergenza, sarà fare dire una Santa Messa per la tua anima.
Che dire amico mio, non potrò più offrirti il caffè a casa mia né farmelo offrire da te al bar. Non avró più la spalla su cui piangere quando vedrò un’ingiustizia perpetrata sui disabili. Ma una cosa ti assicuro: andrò avanti in tua memoria, certo che tu non eri uno di quella lunga schiera di chiacchieroni che parlano e parlano ma non concretizzano nulla. Ciao amico mio carissimo dal grande cuore. Fà buon viaggio. Alla tua  Signora, al tuo piccolino e ai tuoi genitori le mie condoglianze e quelle di Enna Ora.

Mario Antonio Pagaria

Devo ammetterlo, c’è un motivo se non me la sono sentita di scrivere della morte di Giuseppe. Dicono che di fronte al dolore si debbano attraversare gioco-forza alcune fasi, e forse io sto ancora attraversando quella della negazione. O magari è solo la reazione alla parola “morte”, quella parola terribile che al tempo del coronavirus sta diventando un concetto troppo familiare per potersene difendere. Forse non riesco ancora a trovare gli strumenti adatti. Di Giuseppe ricordo soprattutto la tenacia nel condurre le sue battaglie e quella faccia di bronzo infinita tipica dei politici, glielo dicevo sempre con affetto e scherzandone con lui, quando ti diceva che era perfettamente d’accordo con te, pur sostenendo l’esatto opposto di ciò che avevi detto. Avrei anch’io mille aneddoti da raccontare, come quando mi diede appuntamento nel peggiore bar di Mazzarino per fornirmi delle carte riservatissime su Pasquasia, al tempo in cui stavo scrivendo un libro su quell’argomento che a lui stava tanto a cuore; o come tutte le volte che lo incontravo. Era sempre un aneddoto, incontrare Giuseppe. Che potevi non incontrare per mesi, ma che all’improvviso ti si parava di fronte con l’aria mezza imbronciata ma con il sorriso sulle labbra, abbracciandoti e baciandoti ma rinfacciandoti un articolo di cui magari ti eri già dimenticato, scritto chissà quando (e chissà se l’avevi davvero scritto) e concludendo con un sorriso: “Si, ma la prossima volta chiamami!”. Ora non potrò più chiamarti. E la tua mancanza si sente!

Josè Trovato