Vasily Lotario

In questi giorni difficili per l’Italia e per il mondo, definiti da qualcuno come la peggiore crisi internazionale dalla seconda guerra mondiale, capita molto spesso di imbattersi in riflessioni, articoli, post caratterizzati da foga didascalica, inneggianti a misure draconiane. Ma qual è, e quale deve essere, il ruolo della informazione in un Paese democratico a partire, ma non solo, dalla lettura dell’art. 21 della Costituzione e della conseguente libertà di manifestazione del pensiero? Si tratta di un quesito di non poco conto.
Una prima considerazione non può che prendere le mosse dal concetto di “paura” che, come l’ansia, secondo Vittorio Lingiardi, è una condizione fisiologica di base che, a differenza appunto dell’ansia, è legata ad una minaccia, reale o percepita, più specifica e imminente. La paura, quando non raggiunge i livelli patologici che impediscono il pieno svolgimento della vita individuale e della relazione con gli altri, ci dicono ancora gli psicologici, è una sorta di campanello di allarme, che consente, in situazioni di pericolo o crisi intesa nell’accezione etimologica di cambiamento, di modellare i comportamenti individuali, adattandosi agli input provenienti dal contesto ambientale, declinandosi in quello che per il sentire comune è il cosiddetto “istinto di sopravvivenza”. Ci si chiede, allora, quale sia il confine tra l’informazione e lo sciacallaggio, che non soltanto amplifica le paure ma le moltiplica, le veicola, le propala acriticamente ed espone gli individui e la società a reazioni di chiusura, di mancanza di solidarietà, talvolta persino a forme di devianza o criminalità, come sostiene Nicola Malizia. Il confine è labile, è innegabile.
Zygmunt Bauman scriveva del “demone della paura”, a proposito di individuo, paura e società, con ciò intendendo come l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro covassero e alimentassero la più spaventosa e meno sopportabile delle paure del nostro tempo.  La malattia, o meglio la paura della malattia, costituiscono senz’altro declinazioni della più generale insicurezza del presente e incertezza del futuro. Galopparla, piegarla a fini esterni a quelli interni al diritto/dovere di informazione, trasformandola in una occasione di palcoscenico o peggio di solleticamento degli istinti più bassi dell’individuo, non è soltanto un’operazione eticamente insostenibile ma è anche una resa della ragione, e il sonno della ragione genera mostri, come in un celebre dipinto di Francisco Goya. Questo non ce lo possiamo permettere, soprattutto se abbiamo o abbiamo assunto l’onere/onore della informazione, fosse anch’essa solo locale, provinciale o di un comune primario o secondario dell’ennese. In questo momento, in cui la ragione è l’unico elemento in grado di vincere la guerra che tutti noi e ciascuno di noi stiamo combattendo, diffondere la caccia all’untore o allarmare le persone, spingendole magari a perdere di vista nei fatti il senso di solidarietà individuale e di appartenenza alla comunità sarebbe ed è estremamente grave. Dobbiamo, invece, procedere uniti ma distanti, nella consapevolezza che invitare oggi compostamente, dunque senza improperi o velate minacce o inviti alla delazione, il cittadino a un comportamento responsabile e rispettoso delle regole significhi domani liberarsi del mostro, anzi dei mostri, che si stanno affrontando oggi: la paura, la malattia, la resa o il sonno della ragione.