di Josè Trovato

Il testo che segue è frutto di fantasia e pura immaginazione, ispirate dal blackout di vari gestori della telefonia, qualche giorno fa in un paese della provincia di Enna (durato un paio d’ore). 
Hai bisogno di una soluzione per comunicare con l’esterno. Senti che qualcosa non va. Ti senti in trappola. I telefonini non prendono. Il wireless non funziona. La linea a casa non ce l’hai più, perché tanto ormai credevi che non ce ne fosse bisogno. Poi chissà se anche quella, in una situazione del genere, funzionerebbe. Non puoi uscire. È vietato per legge. Sei isolato dal mondo. Fuori vedi un giorno di sole che illumina strade deserte, dalle finestre della cella dorata in cui sembra trasformarsi casa tua. Quelle mura dovrebbero solo tenerti al riparo dall’esterno, anche dal propagarsi del coronavirus. In questo momento però è la prigionìa a devastarti.
L’inquietudine cresce a ogni istante, acuita dalle ultime notizie che erano giunte a te, un istante prima che iniziasse il blackout delle comunicazioni. Un silenzio insopportabile, inaspettato e inopportuno. Tutti i blackout sono inattesi, certo, ma questo proprio non doveva esserci. Non adesso. Amici di sempre sono risultati positivi al Covid-19. Questo ti hanno detto. E poi Stop. Telefoni irraggiungibili, niente web, nessun contatto con l’esterno. Sai di amici fraterni a cui non puoi neppure mandare un abbraccio virtuale, una faccina sul telefonino, un meme divertente per strappare loro un sorriso e chiedere come stanno.
Non puoi fare niente. L’unico strumento disponibile è la tv. Ma forniscono notizie nazionali. Provi con il Tg Regione, ma non è l’ora giusta. Anche l’informazione tradizionale, quello strumento a cui si attaccavano i nostri nonni in tempo di guerra, non fornisce le notizie di cui hai bisogno. Le tv sono uno strumento passivo. Il mezzobusto che sta conducendo il tg non può rispondere alle tue domande. È il mondo intero che sembra aver smesso di parlare con te o di voler sentire la tua voce. È come in mezzo a un brutto sogno: immagini di parlare con le persone, ma non riescono a sentirti. Urli, cerchi di strattonarle, ma non ti vedono e non le sfiori neanche.
Immagini che il silenzio sia il preludio di qualcosa di terribile.
Guardi ancora il telefonino, ma continua a non avere campo.
L’angoscia sale.
Cerchi di sintonizzarti mentalmente su qualcosa di meno inquietante. Trai spunto dalla realtà e provi a immaginare a dove ti troveresti in questo momento, se questo maledetto agente patogeno non si fosse messo in mezzo. Era un mondo diverso prima. Ci sarebbero di sicuro anche loro, che ora sai in ospedale, impegnati a combattere contro un male oscuro, che è entrato nel loro corpo. Smetti di provare a pensare ad altro e torni a cercare invano un contatto con l’esterno. Di questo passo ti toccherà uscire, per cercare un angolo dove possa prendere il telefonino. In fin dei conti la mancanza di qualunque forma di comunicazione è uno stato di necessità per cui si può uscire da casa. Qualunque appartenente alle forze dell’ordine capirebbe.
Non è la paura di una sanzione, tuttavia, a tenerti a casa. Ti tornano in  mente le parole di Paolo Borsellino: una legge non la rispetti perché temi di finire in prigione, ma perché sai che è giusta, perché “consenti allo Stato”. Così ti rassegni al silenzio: non violerai l’obbligo d’isolamento. Provi a chiudere gli occhi. E riesci a prendere sonno.
Le immagini irrazionali del subconscio tuttavia sono ancor più sinistre. Chiudendo gli occhi pensavi di sognare te stesso sdraiato su un telo, a prendere il sole sulla spiaggia di Copacabana e contemplare l’immagine maestosa del Cristo Redentore, preparandoti a fare un tuffo nel mare del Brasile. Ma non è così. L’abbraccio di Morfeo cambia solo l’inferno in cui ti trovi. L’energia negativa evidentemente è ancora in circolo. Nel tuo sogno sei al centro di un lazzaretto manzoniano, circondato da untori, monatti e malati di peste. Sai che da un momento all’altro arriverà il Griso a venderti. Sai che butteranno il tuo corpo nei carretti con gli altri cadaveri. Trattieni le lacrime. Esci dal lazzaretto e all’improvviso vedi la tua macchina (evidentemente era un’ambientazione seicentesca quasi da “Ritorno al Futuro”). Metti in moto e scappi via, ma dietro hai l’intero cast di The Walking Dead che ti insegue. Quando ne sei fuori, l’incubo è finito.
Il blackout delle comunicazioni è durato solo un paio d’ore. Forse ho un tantino esagerato con l’immaginazione, ma l’angoscia emotiva è come un vortice che ti pervade, accompagnato da una tristezza pressoché indefinibile. Di questi  tempi l’inquietudine è una compagna di viaggio, un “oscuro passeggero (cit.)”. Ed è difficile buttarlo fuori dalla macchina.
Ecco: questo racconto è totalmente frutto di fantasia. Ma sarebbe bene che le comunicazioni non facessero mai cilecca in futuro. E che l’immaginazione, pur estrema, non trovasse nuove ispirazioni dalla realtà.