di Josè Trovato

Enna. Ricordate i faciloni che nei primi giorni dell’emergenza coronavirus hanno ignorato i decreti del Presidente del Consiglio e le ordinanze dei sindaci sul tema del Covid-19, facendosi beccare dalle forze dell’ordine e denunciare per “inottemperanza dei provvedimenti dell’autorità”? Ricordate quelli che facevano “jogging” in un paese diverso dal loro, che andavano “a lavoro” a casa della fidanzata o a far fare i bisogni al cane a 10 chilometri dalla loro abitazione? Beh, “rischiano” di farla franca, quantomeno sul piano penalistico, per il principio del favor rei. Il tema è in questi giorni all’ordine del giorno di molte procure: è una storia tutta all’italiana, fatta di provvedimenti sovrapposti, formulette che rinviano ad altre leggi e cavilli vari.
Ma vediamo di fare ordine, seppur in maniera poco tecnica, ci perdoneranno i cultori dei tecnicismi assoluti. Già all’inizio dell’emergenza il reato di “inottemperanza dei provvedimenti dell’autorità” non era uno spauracchio assoluto, perché prevedeva come pene massime “l’arresto fino a 3 mesi” o “l’ammenda fino a euro 206”. Il risultato era che l’avvocato del denunciato avrebbe potuto benissimo chiedere per il proprio assistito l’accesso all’istituto dell’oblazione e pagare una somma di denaro estinguendo, così, il reato. Il ché, tradotto per i non avvezzi di pratiche legali, significava “niente carte macchiate per i trasgressori… pagando”.
Poi però è subentrato un nuovo decreto – importante e potenzialmente ancor più efficace del precedente – ovvero il dpcm che ha istituito le multe fino a 3 mila euro per chi viola le restrizioni anti-contagio. Una misura importante e potenzialmente ancor più efficace del precedente decreto – lo abbiamo detto e lo ripetiamo non per sbaglio – che però stabilisce di fatto un elemento: il reato commesso da chi usciva senza un giustificato motivo, eludendo le restrizioni anti-contagio, ai sensi dell’articolo 650 del codice penale (il già citato provvedimento che punisce l’inottemperanza dei provvedimenti dell’autorità), non è più applicabile in questi casi. Il motivo? L’articolo 650 contiene una formuletta che lo rende applicabile solo “se il fatto non costituisce un più grave reato”. Questo, per la giurisprudenza, significa che il 650 ha un carattere “sussidiario”, cioè opera solo “qualora l’ordine disatteso non trovi copertura legale, anche di natura non penale”. E poiché il più recente decreto, di fatto, rende il “reato” un illecito amministrativo, passibile di una multa, pur salata, elevabile direttamente dalle forze dell’ordine che lo rilevano, i procedimenti aperti dalle Procure vanno verso l’archiviazione. In più, il più recente decreto, ha effetto “retroattivo”, espressione che chiude di fatto la partita, poiché lo rende applicabile ab origine per questo specifico “illecito amministrativo”.
Contattato per fornire la sua interpretazione a riguardo, il procuratore di Enna Massimo Palmeri ha confermato che allo stato sono un centinaio i procedimenti aperti a seguito delle denunce delle forze dell’ordine e che la magistratura chiederà l’archiviazione. Poi gli atti andranno all’autorità amministrativa, perlopiù alla Prefettura, per l’irrogazione della sanzione pecuniaria applicabile, per legge, anche in maniera retroattiva.
Va sottolineato infine un elemento non da poco: questa applicazione di legge riguarda il reato previsto dall’articolo 650 del codice penale e non si applica ad altri eventuali reati commessi – come quei “geni del crimine” che, per allontanarsi dai posti di controllo, hanno inventato di essere positivi al Covid-19 non avendo fatto neppure il tampone, e sono accusati di “falso ideologico” e “false dichiarazioni a pubblico ufficiale”; o quanti hanno portato in giro l’autocertificazione di un altro – ma la questione “penale”, ai sensi del 650, per loro si chiude qui. Resta la multa fino a 3.000 euro. E in fin dei conti, certo, avrebbero fatto meglio a restare a casa.