di Pinella Crimì
Le ultime settimane hanno catapultato docenti, ragazzi e famiglie in un universo parallelo di cui si conosceva l’esistenza, ma non le possibilità di vita: la didattica realizzata grazie alle nuove tecnologie. Non eravamo pronti e avremmo tutti preferito non esserlo mai. Ma è accaduto, senza preavviso alcuno e in un momento storico in cui allo stress per la novità si aggiunge la paura per ciò che potrebbe essere. Allora che fare? Ciò che la scuola fa sempre: si rimbocca le maniche e riparte. D’altra parte è compito della scuola aiutare i bambini e i ragazzi a “leggere” criticamente la realtà, a saperla interpretare per far uscire l’ordine dal caos, a dare gli strumenti perché i problemi della vita diventino sfide.
Così gli insegnanti sono passati dal poter guardare attraverso le pieghe di sguardi, atteggiamenti, sorrisi e sbuffi a dover imparare un nuovo modo per continuare a guidare quei figli sulla via della conoscenza. E i ragazzi si sono ritrovati a non poter più vivere quella quotidiana routine, forse qualche volta anche noiosa, ma che dava corpo alla presenza di compagni di classe e docenti. In tutto questo, le famiglie devono imparare un modo nuovo di conoscere la relazione educativa che esiste nel mondo della scuola, barcamenandosi tra i device che non bastano, la linea che non regge, il collegamento che non funziona. E accade anche che una mamma o un papà si ritrovino cacciati fuori dalle camere quando c’è una videochiamata in corso, perché quello è lo spazio della classe, una comunità da non violare. Così come accade che ci si senta impreparati e inadeguati davanti alle agende dei registri pieni di cose da fare e scadenze da rispettare, vissuti come una vessazione da parte di docenti che non intendono fermarsi.
Eppure i nostri figli sanno perfettamente che quell’elenco di incombenze non può e non deve sostituire la scuola, così come sanno bene che è un modo, forse l’unico per molti, con il quale i maestri e i professori dicono ai ragazzi “io per te ci sono”. Certamente occorrerà affrontare il problema della parità di accesso alle lezioni per tutti i nostri ragazzi e imparare un modo nuovo per includere, valorizzare, sostenere tutti e ciascuno.
Ma non si parli di “distanza”. La didattica è sempre prossimità, in qualsiasi forma si realizzi.