“Mi chiamo Bertha, ma tu puoi chiamarmi Giulia, Anna, Martina, Eleonora… ciascun nome ti venga in mente.
In realtà sono stata tutte queste donne, entrando ed uscendo dalla vita di alcuni uomini e muovendomi in base alle loro caratteristiche. Recitavo, si. Ma era l’esigenza.
Per Giacomo ero Elisa, donna depressa e psicopatica che non riusciva a prendere decisione alcuna. Ricordo la volta in cui mi lasciò. In realtà fui io a portarlo a tale decisione. Ero stanca di fargli credere che mi manipolava. La manipolazione alla fine, piace agli uomini quanto alle donne. Piace a loro per un senso di virilità e a noi per quel senso di protezione che per una vita intera ricerchiamo.
Vivere con Giacomo era un incubo. Dimenticavo a volte di essere donna per lasciare spazio al ruolo di madre, badante, ma anche sorella e confidente. Giacomo non faceva per me, ed io lo sapevo. Lo sapevo tutte che volte che lo sentivo urlarmi al telefono.
Giacomo fu presto un lontano ricordo che aprì le porte a sfumature immense di una Elisa che io stessa non mi sarei aspettata di avere. Fui forte e determinata a mettere in ordine le schegge ed i tasselli che si erano infranti e disordinati dentro di me. Alimentare quella fame di amor proprio era il mio unico obiettivo. Ricostruirmi. Rigenerarmi. Avevo sete d’amore e mi sarei dissetata presto. E avrei trovato l’energia in me stessa.
Tutte le donne dovrebbero essere capaci di risorgere dalle proprie ceneri, dalle proprie delusioni e dai propri fallimenti. Imparare dagli errori non è una frase fatta, dovrebbe essere un modus operandi. Dovrebbero farlo tutte, come portano le gonne, i rossetti o semplicemente il reggiseno.
Esattamente con la stessa disinvoltura. Fiere e oneste. A testa alta.
A tutte quelle Donne capaci di lottare e rinascere ogni volta che ne hanno voglia.

Bertha P.