Dopo un mese e mezzo di domiciliari di massa senza reato e senza processo (chi lo avrebbe mai immaginato?) per gli italiani la parola resistenza ha il sapore amaro dell’attualità. Tutti stiamo pazientemente resistendo per (far) combattere contro un invasore invisibile e senza esercito, eppure tanto temibile e spregiudicato.
Attenzione però: abbiamo il dovere civico di non perdere di vista, anche durante una pandemia devastante, il significato storico della Festa della Liberazione d’Italia dalle truppe tedesche di occupazione e dai fascisti della Repubblica di Salò, che nell’aprile del 1945 furono definitivamente schiacciati per mano delle forze alleate e dei partigiani al grido di “Arrendersi o perire!”.
Puntuale come una “defecatio matutina” di origine svizzera, è arrivato anche quest’anno il tentativo di una certa destra radicale larvata di sovranismo a convenienza di screditare la portata storica del 25 aprile, proponendo di sostituire la celebrazione dei partigiani antifascisti con il ricordo di altre(ttanto) nobili accadimenti. L’ambasciatore nero di quest’anno è nientemeno che l’onorevole Ignazio Benito La Russa – nomen omen – che a colpi di raucedine e disfonia ci spiega che bisognerebbe sostituire il canto di Bella Ciao con la canzone del Piave (?) per ricordare i morti di tutte le guerre (what?).
Siamo seri. Il 25 aprile è una ricorrenza da custodire gelosamente perchè ci consente di riflettere sui pilastri della nostra democrazia. Sul fatto che – proprio grazie al coraggio di chi cadde sulle montagne, nei campi e nelle carceri – a taluni pseudo fascisti contemporanei è oggi consentita persino la libertà di associarsi in gruppi politici di ispirazione mussoliniana.
Una festa divisiva? Si! Ben venga distinguere tra chi resistette per la libertà e chi invece per la dittatura. Tra chi tramanda la memoria dei partigiani comunisti, socialisti, democristiani, azionisti e liberali e chi, invece, si tatua ancora le frasi del ventennio salvo poi abiurare quando c’è da trangugiare cipollate e vino alle scampagnate del 25 aprile.
Disse bene il compianto Giancarlo Pajetta: “noi coi fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile”. Stop.
Una festa dunque!
Considerati i limiti logistici, l’ANPI ha lanciato un appello a tutti gli italiani che si riconoscono nei valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana: alle 15 del 25 aprile, intoniamo tutti Bella Ciao dal balcone di casa nostra. Che sia un inno alla memoria del passato ma anche alle speranze presenti e future.
Onore e gloria eterna ai partigiani caduti per liberare l’Italia infangata dai crimini nazifascisti.
Adriano Licata