di Josè Trovato

La prima volta che sentii parlare di lui fu a margine di un processo di mafia a Enna. Chiesi: chi è ‘sto Ciccio La Rocca? E il pm, che aveva appena da poco finito la requisitoria, quasi mi prese in giro: non potevo non saperlo. Rispose: “La Rocca di San Michele di Ganzaria è il boss di Caltagirone”. Approfondii. E in quei giorni venne fuori una nuova accusa a carico del boss: l’organizzazione di un omicidio in provincia di Enna. A volere quel delitto, commesso nel 2003, furono proprio La Rocca, un paio di pezzi da Novanta di Catania e l’allora capomafia provinciale di Enna.
Da quel momento il nome di Ciccio La Rocca l’ho sentito e letto più spesso.
Ma soprattutto ne ho sentito parlare molto nel 2009, quando la polizia e i carabinieri di Enna, sotto il coordinamento della Dda, svelarono che il nuovo capo provinciale di Cosa Nostra, l’ultimo capo conosciuto della mafia ennese, era ritenuto vicinissimo a La Rocca, se non addirittura sponsorizzato da lui. Zio Ciccio, in pratica, deve aver consentito in qualche modo la nomina di “Zio Turiddu” Seminara al vertice della mafia in provincia di Enna. Non credo proprio che fra di loro si chiamassero “Zio”, anche se immaginando un loro colloquio ho sempre pensato che a utilizzarlo, quel termine, fosse Turiddu parlando con il ben più importante “Zio Ciccio”. Ma forse non lo sapremo mai.
Quello su cui però gli investigatori non hanno mai avuto dubbi era che il passaggio fosse quello: La Rocca di sicuro non si è opposto alla nomina di Seminara come capo provinciale di Enna; anzi, forse, lo ha voluto lui, come ha voluto delegargli forse anche altre aree del Calatino.
Questa scelta, va detto, in apparenza ha fatto compiere alla mafia ennese un balzo indietro di cinquant’anni, facendo passare lo scettro di capo provinciale da un “colletto bianco”, da un ex avvocato penalista impegnato in politica, a un allevatore e imprenditore agricolo come Seminara. Ma soprattutto questa scelta ha affermato una volta per tutte il dominio dei clan catanesi su Enna, l’egemonia incontrastata su una vasta area strategica da mantenere silente, il più possibile, perché perfetto covo di boss latitanti e luogo per meeting di alto livello. O magari anche perché per la mafia, negli ultimi tempi, il settore dei campi, delle truffe comunitarie e dei contributi a pioggia, è divenuto sempre più importante.
Ad ogni modo chi fosse, Ciccio La Rocca, lo aveva già raccontato da tempo il pentito catanese Calderone: “Dopo che toglieva la vita a qualcuno – ha rivelato Calderone, parlando di lui – si scatenava, prendeva a calci il morto e gridava come una belva. Le persone preferiva strangolarle per non fare rumore con la vittima che si dibatteva e assumeva un’espressione terribile”.
La Rocca è stato condannato diverse volte. Da qualche giorno però un Tribunale di Sorveglianza gli ha concesso i domiciliari, scrivendo in estrema sintesi che il boss, ottantaduenne, sarebbe a rischio per l’età, le pluripatologie di cui è affetto, “rischio che oggi risulta seriamente aggravato dalla concomitanza del pericolo di contagio da Covid-19”.
Sono sempre stato convinto che la salute delle persone vada messa al primo posto, pure se sei un boss mafioso. Però oggi non si può non provare un senso di sconfitta nel nome di quanti, per lottare da uomini liberi contro la mafia, hanno perso la vita.
Onore a loro.
Sono solo loro gli unici, veri, uomini d’onore.