Sapevo che vi avrei scioccato, ma sapevo sin dall’inizio che avrei solleticato in voi desideri e istinti che la vostra bigotta ipocrisia deve soffocare. Perché è così: maledetta ipocrisia, quante donne fa passare per puttane e altre per puritane?

Ma veniamo a noi.

L’ho conosciuto per caso, anche se poi non era altro che un collega. Lavorava in una sede lontana dalla mia, ma della stessa azienda. Era uno di quelli svegli, concreti, diretti. Uno che piace alle donne. Scambiammo poche battute prima di arrivare al dunque. Certi uomini ragionano più con quello che hanno nelle mutande che con quei pochi neuroni che hanno in testa. Quelli li usano con le mogli per provare a zittirle e per sembrare meno stupidi di quanto realmente siano.

Ci trovammo subito in sintonia. Era ilare, simpatico e composto. Composto anche quando faceva discorsi che sfociavano sempre nell’unico reale obiettivo che si era prefissato, parlando con me: portarmi a letto.

“Voglio farti conoscere il vero sesso” diceva, quasi credesse che di sesso, io, nella mia vita non ne avessi mai fatto.

Era pieno di sé, Tore. Si faceva chiamare così. E ci scherzava su, dicendo che questo nomignolo gli ricordava il toro, perché tale era la considerazione che aveva di sé. Badava moltissimo alla sua forma fisica e al suo aspetto. Era sempre curato e ben vestito, pettinato e profumato.

Contorto e perverso, trovava sempre il gancio per conciliare un discorso sensato al sesso. Mi doveva portare a letto e doveva farlo con stile, secondo lui. Non mostrava un briciolo di emozione e sentimento, come se io fossi uno dei suoi strumenti, su cui sfogare la sua frustrazione. Perché di questo si tratta: l’insana frustrazione di sentirsi “uomo”. I giorni passavano così, tra una chat e l’altra, una battuta e un doppio senso. Furono tanti, i giorni, che ci separarono dal nostro appuntamento.

Ci siamo visti davanti ad un bar, uno di quelli internati per non dare nell’occhio. Sorseggiando un caffè mi cominciò a parlare di sogni e progetti, anche se a ben vedere era molto più concentrato ai movimenti della sua mano sulle mie autoreggenti. Del resto anche il mio grado di attenzione era apparentemente pari allo zero. Non lo stavo ad ascoltare, la mia mente volava già a quello che sarebbe successo dopo. Alle “dimostrazioni di virilità” che mi aveva promesso.

Sarò sincera: non avevo grosse aspettative. È più che altro un meccanismo di autodifesa dalle delusioni, a volte. Tore si trovava in città per qualche giorno, e aveva preso una camera nell’Hotel più elegante, e ovviamente costoso. Credo fosse una parte del suo piano… Ho finto che funzionasse, anche se la candela rossa che aveva spacchettato malamente e il sacchettino del supermercato in bella vista lo facevano solo sembrare più ridicolo di quanto non fosse già.

Immagino che abbiate capito tutti quello che stavamo per fare, no?

Eh no, care mie. O cari miei. Devo deludervi.

O rendervi orgogliose/orgogliosi di me. Scegliete voi.

Io non ho mai pensato agli uomini come meri strumenti di piacere, anche se devo ammettere che qualche volta dò quest’impressione. E a volte quel piacere mi ha regalato emozioni forti, che non rimpiango. Ma quella volta anelavo un solo piacere. Perverso, forse, ma non è ciò che avete in mente. Non avevo premeditato nulla, anzi forse ho cambiato idea all’ultimo. Forse avevo anche pensato di andarci a letto. Ma volevo solo una cosa. E la volevo più di ogni altra. Volevo umiliarlo. Farlo sentire un verme. E non tanto, o non solo, perché si trattava dell’uomo più montato e pieno di sé che avessi mai conosciuto. E non tanto, o non solo, per le sue misure obiettivamente deludenti. Anzi, diciamolo pure, inquietanti… Non solo per quello. Ma quando poi è arrivato nella sua stanza il direttore che avevo invitato per parlare di lavoro con il suo telefonino; e quando l’ha trovato ammanettato al letto seminudo con la porta aperta e il perizoma “modellante”… non so voi, ma io avrei tanto voluto esserci.

Dimenticavo. So cosa state pensando. Pensate che avrei dovuto chiudere il tutto fotografandolo e spedendo l’immagine alla moglie. E non vi nascondo di averci pensato, solo che poi ho concluso che facendolo avrei fatto soffrire un’altra persona.

E se aveva scelto di vivere con lui, forse, sapeva già che razza di stronzo fosse…

Bertha P.