Erano stati arrestati assieme ad altre otto persone, tra il carcere e domiciliari, nell’operazione “Terre Emerse” – condotta, a maggio del 2019, dal Gico della Guardia di Finanza di Caltanissetta e dallo Scico di Roma, sotto il coordinamento della Dda nissena – con le ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa e presunte truffe all’Unione Europea, che complessivamente avrebbero fruttato oltre quattrocento mila euro, in relazione a terreni siti nelle province di Enna, Palermo e Messina. Ora il gip di Caltanissetta ha concesso gli arresti domiciliari al sessantunenne Domenico Di Dio e ai suoi due figli Antonio e Giacomo di 33 e 36 anni, difesi tutti dall’avvocato Antonio Impellizzeri. I tre sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e una pluralità di truffe ai danni dell’Agea. Vi è poi un’ipotesi di falso ideologico in relazione a un atto stipulato a Mirabella Imbaccari nel luglio del 2016, riguardante l’usucapione di un vasto terreno di circa 600 ettari in territorio di Polizzi Generosa, nel Palermitano. Il padre, in sostanza, con quell’atto, dichiarava di aver usucapito i terreni e di averli donati ai suoi due figli.
L’ordinanza emessa a maggio 2019 dal gip di Caltanissetta riguardava tutte le ipotesi di reato. Poi i due procedimenti si sono separati: la parte relativa al falso ideologico in atto pubblico (riguardo l’usucapione) è stata successivamente stralciata ed è passata per competenza a Caltagirone, considerato che l’atto notarile sarebbe stato siglato nel Calatino, e il gip di Caltagirone ha emesso una nuova ordinanza. Così, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e truffe Agea i tre, assieme ad altri, dovranno comparire il prossimo 26 maggio dinanzi a Gup di Caltanissetta Valentina Balbo (dopo due rinvii dovuti all’emergenza Covid-19). L’accusa è sostenuta dai pm nisseni Pasquale Pacifico e Nadia Caruso. Con l’accusa di falso, invece, si procede a Caltagirone con giudizio immediato e si è giunti in fase avanzata del dibattimento, che il 27 maggio dovrebbe giungere a discussione e sentenza.
Il presunto “sistema” scoperto dalle Fiamme Gialle sarebbe stato gestito con metodi mafiosi dalla famiglia Di Dio, originaria di Capizzi ma stanziatasi da tempo nella provincia di Enna. Sono accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, come detto, in riferimento ai rapporti che, secondo gli inquirenti, avrebbero avuto con numerosi esponenti di famiglia mafiose tra cui in particolare quella facente capo ai fratelli Virga, inserita nel mandamento di San Mauro Castelverde. I Di Dio – che hanno proprietà a cavallo delle tre province di Enna, Messina e Palermo – sono ritenuti particolarmente attivi nel settore delle cosiddette “agromafie”. Per l’accusa avrebbero agevolato Cosa Nostra determinandone, stando sempre all’ipotesi dell’accusa, un significativo incremento del potere di infiltrazione in attività economiche collegate allo sfruttamento di vaste aree agricole collocate nei territori del Parco delle Madonie, di Capizzi, e della provincia di Enna, per l’ottenimento di contributi comunitari. Secondo gli investigatori, parte del denaro sarebbe stato versato a elementi di spicco di Cosa Nostra.