di Francesca Di Fiore
da Playa del Carmen (Messico)
Sono passati poco più di 3 mesi, quando il paziente zero, un cittadino messicano di ritorno da un viaggio in Italia, ha innescato dalla capitale, Città del Messico, una fitta rete di contagi, che tuttora tarda a diminuire.
L’iniziale superficialità del Presidente Lopez Obrador, il suo invito pubblico, lanciato dalla televisione nazionale, ad abbracciarsi e ad affidarsi ai santini di Gesù, hanno fatto il resto.
In Messico, ci troviamo di fronte a un’economia precaria, nella quale una grande percentuale dei cittadini vive alla giornata, cercando il sostentamento per le proprie famiglie in strada e senza alcuna garanzia lavorativa, sociale, sanitaria. Un esercito di milioni di persone, che non ha rispettato la distanza di sicurezza, affollando i mercati locali e violando il coprifuoco obbligatorio, ordinato dalle autorità regionali, in un secondo momento.
Si è aggiunta, infine, come un macigno, la salute fragile dei cittadini messicani, innalzando il tasso di letalità all’11% (superiore a quello della regione Lombardia, in Italia).
In un paese devastato dall’obesità, dal diabete, dall’ipertensione, dalle cattive abitudini alimentari e dalla sedentarietà, il covid-19 ha trovato terreno fertile per mietere troppe vittime.
L’opposizione non perdona al governo la scarsa serietà nell’approccio alla pandemia e la poca chiarezza delle cifre sul numero reale dei defunti, dichiarando che i numeri veri si aggirano intorno al triplo di quelli ufficiali.
Attualmente, l’associazione MCCI (messicani contro la corruzione e l’impunità), nella sua sigla in spagnolo, ha aperto un fascicolo investigativo sulla banca dati dei certificati di morte, negli ospedali della capitale.



