C’è qualcuno che può sinceramente meravigliarsi della valanga di SI al referendum? Credo proprio di no. Questo è un risultato, toccato quasi il 70 per cento, che viene da molto lontano, scontato negli anni. Probabilmente il primo segnale forte è stato lanciato con le monetine contro Craxi il 30 aprile del 1993 davanti l’ingresso dell’albergo Raphael di Roma.
Per farla breve, da decenni una massiccia parte dell’opinione pubblica individua il politico quale componente di una casta egoista, incapace, spendacciona e per certi versi dedita al malaffare. Se questo è il comune sentire cosa c’era di aspettarsi dal voto referendario se non un deciso taglio plebiscitario, rispondente solo al rigurgito della pancia del paese? È questo anche il motivo per cui non credo che ci sia uno schieramento che abbia vinto.
L’elettore non ha tenuto conto delle posizioni dei vari partiti o movimenti, ha semplicemente voluto bocciare la classe dirigente nella sua interezza e dare un taglio netto al numero della casta. Onestamente non mi fa piacere che s’imponga una sforbiciata dettata solo dall’orgasmo elettorale senza visione programmatica. Avrei preferito, per tempo, uno scatto d’orgoglio della classe politica con l’elaborazione di una vera fase di riorganizzazione statale a tutti i livelli non ultimi quelli rappresentativi. In latitante assenza ha fatto uno scatto in avanti la vendetta dell’elettorato.
Non è la via corretta per risolvere gli annosi problemi dentro i quali la nostra terra si dibatte, ma se la sono cercata. Per i politici, tutti nessuno escluso, adesso rimane solo da ricercare la corretta via e comprendere la lezione. A loro è richiesto il massimo impegno per dare un futuro allo Stato e ritrovata autorevolezza al loro ruolo.

Paolo Di Marco