di Cetty D’Angelo

Ormai è diventata molto popolare la copertina di Vanity Fair, in edicola dal 30 settembre, che ritrae l’attrice e conduttrice Vanessa Incontrada completamente nuda. Dopo aver ricevuto per anni dure critiche nel web a causa delle sue nuove forme, l’attrice ha deciso di portare avanti una battaglia a favore della body positivity e contro ogni forma di body shaming, ovvero il bullismo per l’aspetto fisico, esibendosi con un monologo contro i falsi canoni di perfezione a “Vent’anni che siamo italiani” su Raiuno e  mostrandosi senza veli in questa copertina dal titolo “Nessuno mi può giudicare”, che rappresenta un messaggio contro gli stereotipi di bellezza. “È il punto d’arrivo che vede il mio corpo diventare un messaggio per tutte le donne (e per tutti gli uomini): dobbiamo tutti affrontare, capire e celebrare una nuova bellezza”, dice la Incontrada e aggiunge: “Nel 2008 ho avuto mio figlio Isal. La maternità, come per altro succede a tutte le donne, trasforma il tuo corpo. E il mio si trasformò molto. Partirono le critiche. Critiche feroci. Critiche crudeli.” Dopo un percorso di auto accettazione Vanessa si scaglia oggi contro gli ideali di bellezza della società contemporanea, la quale fa del corpo magro e tonico un rigidissimo e falso principio estetico. La formosità, che in realtà è una caratteristica NATURALE del corpo femminile, viene svilita e rifiutata e piuttosto che promuovere la bellezza nei suoi aspetti più diversi, il condizionamento culturale e mediatico induce tutte le donne a rientrare in un unico stereotipato canone. Si tace per di più completamente sui rischi del raggiungimento e del mantenimento di tale magrezza, che, lungi dall’essere un esempio di salute e perfezione, quale viene designata, è altamente pericolosa ed è raggiunta dalle stesse modelle, blogger e showgirl attraverso grossi sacrifici, quali esercizio fisico estremo ed eccessive restrizioni alimentari. Inoltre è forse addirittura superfluo menzionare le ritorsioni psicopatologiche (quali lo sviluppo di anoressia o bulimia) di codesti canoni di bellezza sulle più giovani.
Come forse non tutti sapranno, i canoni estetici sono legati ad aspetti socio- culturali. Dal Rinascimento fino all’ 800 l’ideale di bellezza era rappresentato dalla donna formosa, che incarnava la prosperità del ceto nobiliare di appartenenza. Tale canone è visibile nelle rappresentazioni femminili rinascimentali (come nel caso della Venere di Botticelli). La formosità era dunque simbolo di benessere, mentre la magrezza era associata alla povertà e conseguentemente veniva ricusata. All’inizio del Novecento abbiamo un primo mutamento di paradigma verso un ideale longilineo, che subisce una nuova trasformazione con l’avvento delle due guerre mondiali. La diffusa povertà conseguente al periodo bellico porta nuovamente alla ribalta un ideale femminile morbido, simbolo di un’aspirazione al benessere economico. L’ideale di questo periodo è incarnato, ad esempio, da Merilyn Monroe. Con gli anni ’70 si impone infine il modello della “donna grissino”, che è quello che conosciamo oggi. Secondo le analisi sociologiche e psicologiche il corpo esile viene associato alla determinazione e all’ autoaffermazione sociale femminile tipica del mondo moderno.
Come si può constatare da tale breve excursus storico gli ideali estetici non sono dei criteri assoluti ed universali. Comprendere l’origine puramente culturale degli ideali estetici potrebbe portare a un ridimensionamento della loro centralità e a comprendere che in verità in natura non esiste e mai esisterà un solo tipo di bellezza.