di Angela Di Fazio

Povertà educativa: la grande sottovalutata o meglio ancora, la grande sconosciuta. Il titolo di questa breve riflessione avrebbe dovuto essere impietosamente questo.
Già perchè è possibile affermare, in queste righe e altrove, senza il timore di essere smentita, che la povertà educativa è un tema scarsamente attenzionato, o addirittura sconosciuto anche tra coloro i quali, per mandato o per vocazione (colleghi, educatori, insegnanti, amministratori, dirigenti dei servizi, enti del Terzo Settore) dovrebbero invece, appartenendo a quella “comunità educante”, termine spesso rispolverato all’occasione e impropriamente, avere i mezzi per frontreggiarla.
Spesso, quando analizziamo un fenomeno sociale, una tendenza siamo portati erroneamente a credere che i dati che evisceriamo, che estrapoliamo dalle fonti, riguardino realtà che non ci appartengono. Un errore più comune di quanto si pensi e assai diffuso soprattutto tra chi invece quei dati dovrebbe leggerli per trarne spunti per gestire la cosa pubblica.
La povertà educativa, invece investe maggiormente i piccoli centri, le minuscole comunità in cui viviamo, spesso già impoverite e scarse di opportunità, ma quasi nessuno la vede, nessuno denuncia e così i divari territoriali già esistenti aumentano ancora di più.
Ma cos’è la povertà educativa e qual’è il suo legame con la povertà economica?
La povertà economica è legata a doppio mandato alla povertà educativa: simbioticamente una nutre e alimenta l’altra, investendo anche la dimensione emotiva, della socialità e relazionale,
influenzando fortemente il futuro non solo dei minori, ma di tutti nessuno escluso.
La povertà economica assoluta aumenta al diminuire dell’età definendo “poveri assoluti” famiglie e persone che non posseggono risorse sufficienti a condurre una vita accettabile e a sostenere le spese minime di sopravvivenza.
E se la crisi economica globale conseguente a questa maledetta pandemia ha investito trasversalmente tutte le categorie e le fasce di età, ha inciso ancora più crudelmente sulle condizioni di vita dei minori e degli adolescenti. Perchè povertà educativa vuol dire mancanza di pari opportunià di accesso ai servizi, crescita delle già esistenti disuguaglianze, riduzione delle risorse materiali e immateriali.
La povertà dei più piccoli è un vulnus, una ferita profonda del sistema sociale.
Se il rischio drop-out e marginalizzazione nelle periferie urbane era già alto, con la pandemia e la conseguente chiusura delle attività scolastiche ed extrascolastiche lo è ancora di più. L’emergenza Covid 19 è stata un’aggravante pesantissima sulle dinamiche di una scuola e di una società già di per sè fortemente disuguali. Non sono poche nè irrilevanti infatti, le asperità della didattica a distanza, le difficoltà di apprendimento che ne conseguono, i rischi di isolamento per la chiusura dei servizi e dei centri aggregativi per l’infanzia, la riduzione degli stimoli esterni.
Bisognerebbe (e qui corre l’obbligo del condizionale) riconoscere un’urgenza che è quella di restituire centralità e rilevanza sociale ai più piccoli, e di cominciare ad occuparci seriamente di quello che sono oggi, prima di preoccuparci di ciò che saranno domani.
Dovremmo cominciare seriamente ad attenzionare un fenomeno che interessa tutti, non solo la scuola e non solo la famiglia, ma le intere comunità ponendo una forte attenzione ai mutamenti dei bisogni sociali e immaginando soluzioni prevedendo collaborazione tra contesti formali e informali avvalendosi del supporto di chi ha strumenti e conoscenze adeguati ed efficaci.
A più di cinquant’anni dalla Scuola di Barbiana, riecheggiano, più attuali che mai, le parole di Don Milani “non c’è nulla di più ingiusto che far parti uguali tra diseguali” e oggi, nel mezzo di una catastrofe mondiale, non dovrebbe esserci nulla di più importante e prioritario quanto cercare di porre rimedio ai danni già fatti dalla pandemia e che rendono i minori e gli adolescenti meno dotati di risorse ancora più fragili, diseguali e vulnerabili. Eguaglianza ed equità non coincidono e una comunità educante (alla quale abbiamo la presunzione di appartenere) rende meno diseguali.
Serve allora investire sul lungo periodo con azioni concrete da monitorare in chiave territoriale.
E per fare questo, io come altri colleghi che come me hanno a cuore il destino dei piccoli, ci mettiamo a disposizione.
Angela Di Fazio, Sociologa esperta in politiche sociali e Assistente Sociale, da oltre un ventennio è impegnata in ruoli dirigenziali nel Terzo Settore e come formatrice presso Istituti Scolastici ed Enti di Formazione.