di Giovanni Vitale

Un problema che ha sollevato l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea è se la sua lingua debba restare a farne parte, sia per le comunicazioni ufficiali che come ‘lingua franca’.
Mentre per la comunicazione istituzionale sembra abbastanza ovvio eliminarne l’uso che sin qui se n’è fatto, ben diversa è la questione per quanto riguarda l’utilizzo informale della lingua inglese, sia fra i membri e gli enti con ruoli istituzionali dell’UE che per i suoi cittadini. È un fatto che anche fra i paesi europei, come per il resto del mondo, l’inglese è fra le lingue maggiormente usate fra i parlanti di diversa nazionalità, oltre che in Internet. Tale è infatti lo scopo delle cosiddette ‘lingue franche’, cioè lingue di ‘servizio’, generalmente commerciale, che però raramente permangono puramente originarie, proprio perché parlate da non ‘di madre lingua’ (nativi dell’idioma) e, dunque, con nessuna pretesa di fedeltà letteraria.
Uno dei fenomeni tipici dell’epoca coloniale è stato il formarsi nel mondo di, appunto, molte ‘lingue di servizio’ risultanti dal substrato di una lingua dominante e l’intrusione di vocaboli apportati da parlanti di altre lingue e/o dialetti. Naturalmente ne sono risultate “lingue” molto semplificate sia per pronuncia che per grammatica. Queste parlate, gerghi e non lingue vere e proprie, vengono definite PIDGIN.
Talvolta I pidgin, però, sono durati non solo nel tempo ma si sono evoluti in idiomi, cioè appresi sin dalla nascita e non appositamente imparati e che, nel caso, vengono definite lingue ‘CREOLE’.
Tal’altra invece, esaurita la propria ‘funzione storica’, vanno in disuso e scompaiono. Così è stato nel caso della ‘Lingua Franca Mediterranea’, usatissima per secoli in tutti i territori che si affacciano nell’omonimo mare, il ‘nostrum’! A un certo punto fu parlata da così tanta gente da assumere perfino un nome proprio: SABIR. Se ne ha documentazione certa già dagli ultimi anni del 1200 fino a tutto l’XIX secolo. Nella prima metà di quest’ultimo venne addirittura redatto un vocabolario ad uso delle truppe francesi che andarono alla conquista di Algeri: il ‘Dictionair de la Langue Franque ou Petit Mauresque’.
Il Sabir si ‘stabilizza’ intorno al sec. XIV su base principalmente italo-romanza, con molti inserti spagnoli, nonché un debole sostrato arabo. Ma vi entrano vocaboli di molte altre parlate locali, quali veneti e liguri, occitani, catalani, greci, sardi e, soprattutto, siciliani (R. Sottile e F. Scaglione), specialmente nell’area occidentale del mediterraneo, mentre in quella orientale prevalevano quelli veneziani (G. Cifoletti).
Molti storici sostengono che il Sabir cominciasse a diffondersi già nell’Alto medioevo ma se ne hanno prove dirette solo dal periodo delle Crociate. Resta però che si trattò di una forma comunicativa molto efficace, durata circa un millennio e proficuamente utilizzata da un gran numero di parlanti nativi di moltissimi posti con lingue madri fra le più svariate e difformi, com’è oggi per le nazioni d’Europa.
Forse per l’Unione Europea di dovrebbe ripensare al Sabir, possibilmente arricchito da inserti scandinavi, sassoni e slavi. Inizialmente come pidgin ma che, grazie alle possibilità tecnologiche e didattiche odierne, potrebbe in breve tempo ‘creolizzarsi’ fino ad evolversi in vera e propria lingua ufficiale europea che, magari più della moneta unica e meglio dei traduttori digitali, possa fornire alla sua comunità internazionale una condivisa struttura idiomatica su cui “appoggiare” le proprie, particolari, antiche e preziosissime culture locali.