di Salvo La Porta

Per i pochi che non lo sapessero, la Bibbia ebraica e cristiana contiene il “Libro dei proverbi”, che venne redatto in Giudea nel V secolo avanti Cristo ed è composto da trentuno capitoli nei quali si raccolgono, appunto, proverbi e raccomandazioni.
Il capitolo 28 tratta dell’empio e del giusto e già dall’incipit appaiono chiari gli insegnamenti che si intendono trasmettere.
“L’empio fugge anche se nessuno lo insegue, mentre il giusto è sicuro come un giovane leone”.
Questo fuggire dell’empio, non so perchè, mi richiama alla mente Teodorico da Verona, il quale si macchiò dell’infamia di avere fatto uccidere Severino Boezio, autore del “De consolatione philosophiae”, che per anni lo aveva fedelmente servito.
Una leggenda, ripresa da Giosuè Carducci nelle Rime Nuove, narra che il re degli Ostrogoti per espiare la colpa fu indotto con l’inganno a montare sulla groppa di un cavallo nero che, imbizzarritosi, e volando all’impazzata da una contrada all’altra d’Italia, andò ad inabissarsi nel cratere di un vulcano.
A ragionarci su, appare improbabile trovare un ben minimo riscontro di veridicità nella leggenda.
Tuttavia, si può presumere che Teodorico, dopo essersi reso colpevole di un’azione così empia, non abbia più ritrovato la pace dell’anima e non abbia avuto altra via di scampo, se non la fuga.
E’ la fuga da se stesso, dalla sua colpa, dalla sua colpevolezza, dalla sua spregevolezza, dalla sua infamia.
Poichè spregevole e infame è chi si macchia di empietà, opponendo ostacoli al faticoso cammino dell’uomo verso Dio, che è Verità Assoluta.
Non vi sono plausibili ragioni, pe cui si possa sfuggire alla ineluttabilità della volontà di un Dio, che riteniamo lontano da noi, ma, come Agostino insegna, è dentro di noi.
Un Dio eterno e immutabile, dal quale proveniamo e a Cui aneliamo ritornare, per perderci e confonderci nella Sua eternità.
E’ volontà di Dio che noi restiamo con Lui e in Lui, se tentiamo soltanto di opporci, non ci resta altro che la fuga e poiché Dio è dentro di noi, saremo condannati ad una continua fuga da noi stessi, all’inquietudine, all’irrequietezza.
Siamo l’ Eternità, il Tempo e, proprio come il tempo, quando non riconosciamo la nostra condizione, fuggiamo.
“Tempus fugit”, dicevano i Romani. Ma il Tempo siamo noi.
In realtà, siamo noi a fuggire. A fuggire, “anche se nessuno ci insegue”.
Leonforte, 17 marzo duemilaventuno