di Giovanni Vitale

Se la conoscenza è scoperta, si sottintende non solo che ci sia qualcosa di nascosto e che scoprendolo si può vedere, ma anche che tale “cosa” si dà alla nostra osservazione totalmente. Ciò che eventualmente resta nascosto è per via della nostra scarsa capacità di riuscire a vederlo ma che col giusto ausilio, cioè dotandosi di strumenti abbastanza potenti, nulla resterà sconosciuto.
Quest’ultimo punto è davvero molto forte: sta a dire che col tempo e lo studio ogni mistero, anche il più arcano, sarà definitivamente svelato!
Ciò può risultare piuttosto presuntuoso specialmente a chi è portato verso la metafisica, per cultura o fede. Che si possa compiutamente capire ogni aspetto dell’universo e quindi del mondo, umanità compresa, è un programma che in varie epoche ha affascinato studiosi e ricercatori. Anche recentemente S. Hawking, matematico e da molti considerato il maggior cosmologo dei nostri tempi, ha sostenuto che sia possibile scoprire una teoria cosmologica unificata capace di spiegare tutte le forze fisiche fondamentali dell’Universo, dal micro al macrocosmo. Naturalmente la questione è molto complessa e non mancano i fisici e i matematici quanto meno perplessi da una simile presa di posizione.
In un certo senso è come guardare “con l’occhio di Dio”. Così lo intese, ad esempio, G. Galilei quando nel suo ‘Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo’ fa dire al suo alterego Salviati: “dico che quanto alla verità che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa che conosce la sapienza divina” ed aggiunge “il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, è sommamente più eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove il Suo è un semplice intuito”, e secondo cui, dunque, la differenza sarebbe “solo” di metodo ma per la medesima conoscenza. Infatti da lì la discussione è andata avanti proprio sul “metodo” che dovrebbe permetterci la conoscenza della verità su ogni fatto o cosa.
Agli inizi del secolo scorso gran parte degli intellettuali, filosofi e scienziati, anche sulla scorta dei progressi tecnologici del secolo precedente, convennero ottimisticamente che fosse giunto il tempo di stringere e rendere definitivo un programma del genere. Nella seconda metà del secolo, invece, si dovette prendere atto che la questione non era effettivamente realizzabile, tutt’altro. Il discorso sul metodo (epistemologia) poi, seppure nella prospettiva realistica, cioè materiale, ha sviluppato quella più condivisa e popolare che vuole la stessa ‘conoscenza’ racchiusa e limitata dai confini della cultura in cui si realizza (paradigma) e che per andare oltre (T. Kuhn) deve riuscire a “rivoluzionare” il proprio modo di pensare, così da poter accedere a modi nuovi e più precisi del conoscere le cose, ma che ciò può continuare indefinitivamente. D’altra parte c’è stato chi pur d’accordo con Galilei, che sia possibile conoscere la vera essenza delle cose, ha obiettato che è sbagliato il metodo che, peraltro, ha guidato per secoli la ricerca scientifica, cioè il ‘verificazionismo’, ossia che l’accertamento dei fatti ne garantisce la verità; K.R. Popper infatti ha dimostrato che così procedendo non si trova la verità, ma solo alcune occorrenze di essa. Perché la verità, e cioè che una teoria da semplice ipotesi venga riconosciuta ed accettata scientificamente, bisogna invece che sia ‘falsificabile’, che dunque fornisca anche la possibilità di essere smentita e che qualora “resista” ai tentativi di falsificarla, allora è “corroborata” e può entrare legittimamente nel novero di ciò che possiamo ritenere vero. C’è stato, infine, chi ha cercato di mettere insieme il meglio di questa concezione e della precedente, cioè I. Lakatos, secondo cui fra un paradigma ed i successivo non c’è vera e propria frattura (rivoluzione) ma una progressiva “messa a punto” della conoscenza, che in certi periodi appare più radicale ma che, a ben vedere, pur sempre di approfondimento si tratta e, comunque, ancora come ipotesi conoscitiva che però ci consente una migliore osservazione e trasformazione della realtà, pur da specifiche aspettative e finalizzata a concreti risultati. Se si considera che quest’ultima posizione epistemologica è condivisa dalla stesso Benedetto XVI, ecco che anche i metafisici più fideisti dovrebbero ritenersene soddisfatti!