di Cetty D’Angelo

Ha provocato polemiche il monologo di Pio e Amedeo contro il politicamente corretto andato in onda durante la puntata “Felicissima sera” del 30 aprile.
“Nemmeno ricchione si può dire più, ma è sempre l’intenzione il problema. Così noi dobbiamo combattere l’ignorante e lo stolto. Se vi chiamano ricchioni, voi ridetegli in faccia perché la cattiveria non risiede nella lingua e nel mondo ma nel cervello: è l’intenzione. L’ignorante si ciba del vostro risentimento”, dice Amedeo, suggerendo che ciò che rende discriminanti certi termini sono le intenzioni con cui vengono espressi, e non i termini in sè.
Che le intenzioni siano più rilevanti rispetto al linguaggio utilizzato è condivisibile, il problema è che alcuni termini sono nati con intenzioni discriminatorie e tendenzialmente per ogni ascoltatore, e, soprattutto, alle orecchie di chi con certe discriminazioni ci convive per tutta la vita, continueranno ad assumere inevitabilmente quell’accezione negativa. Il monologo ha infatti scatenato diverse reazioni. Michele Bravi al concertone dell’1 maggio ha sottolineato che “le parole sono importanti tanto quanto le intenzioni, le parole scrivono la storia, anche quelle più leggere possono avere un peso da sostenere enorme”. La presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, commenta: “Non è vero che il problema sia l’intenzione che si mette dell’usare certe parole, il tema sono proprio le parole per il significato che assumono e per ciò che contribuiscono a creare nell’ambiente in cui viviamo”.