di Giovanni Vitale
Negli anni fra le due guerre mondiali, insieme alla diffusione dei ‘mezzi di comunicazione di massa’ (mass media), ci fu una proliferazione di studi sugli effetti che da essi derivavano. Naturalmente, trattandosi di fenomeni affatto nuovi, gran parte di quelle ricerche – esagerando le definiamo “teorie” , appunto – si sono rivelate, col senno di poi ma anche a fronte dei dati oggettivi e di studi più rigorosi, in parte o del tutto errate.
La prima ricerca sistematica degna di nome fu la ‘Teoria ipodermica’ (bullett theory), che muovendo dalla psicologia e dalla sociologia vigenti al tempo, considerava, più che altro, i dati ricavabili dai comportamenti (behaviorismo) dell’emittenza, secondo uno schema “stimolo -> risposta” piuttosto automatico e che, pertanto, riteneva poco importante l’entità della risposta, dandola per scontata, ovvero “indifferenziata ed atomizzata”. Riservando così l’attenzione alla tipologia dello stimolo, cioè al messaggio ed “a chi e come” lo comunicava. Si assumeva quindi, coerentemente con la concezione ottocentesca della nozione di ‘massa’, che per la comunicazione valessero le categorie analitiche: la ‘massa’ al di là delle contrapposizioni filosofiche, ideologiche e politiche è costituita da un aggregato omogeneo di individui che, in quanto suoi membri, sono sostanzialmente uguali, non distinguibili, anche se provenienti da ambienti diversi, eterogenei e da vari gruppi sociali. Il messaggio mediale, dunque, “colpisce la massa come un proiettile” e la sua incidenza varierà a seconda della buona mira di chi lo spara, cioè l’emittente, e dal calibro del proiettile, cioè l’adeguatezza e la forza persuasiva del messaggio.
Si deve agli studi H.D. Lasswell, nel 1936 e a seguire, il compimento e l’apertura verso nuove prospettive della ricerca massmediologica. Fu infatti lo studioso statunitense che, se da un lato sistematizzava le precedenti teorizzazioni “ipodermiche”, dall’altro ne individuava i limiti, spostando l’attenzione verso lo studio dei destinatari del messaggio massmediale. Anche grazie alle numerose ‘ricerche sul campo’ e dal rilevamento dei dati sulla ricezione dei messaggi diffusi dai media, specialmente riguardo alla pubblicità commerciale ed elettorale, si comprese che c’erano tutta una serie di variabili che interferivano ed agivano “selettivamente” nei modi in cui la gente fruiva e recepiva ciò che veniva diffuso dai media, in pratica gli “effetti” che sortivano nel pubblico.
Ci si accorse che le persone decidevano da sole se porsi all’ascolto o no; e sebbene ascoltassero, la comunicazione poteva anche risultare priva di effetti o, perfino, averne di opposti a quelli previsti! Si comprese che la “audience” era influenzata da alcuni fattori che determinavano, condizionandolo, l’assorbimento dei messaggi, quali l’interesse ad acquisire informazione e, inoltre, l’esposizione, la percezione e la memorizzazione selettive dei vari messaggi.
Il concetto stesso di pubblico, fin lì definito come un passivo “bersaglio” dei media (target), mutò sostanzialmente. È curioso, però, che alcuni termini di quei tempi, quale “target” appunto, sopravvivano tuttora nella pratica della comunicazione, specialmente commerciale.
Ai giorni nostri, ovviamente, la ricerca e la teorizzazione massmediologica è molto distante e progredita rispetto ai tempi di cui siamo andati fin qui dicendo. Tuttavia con l’avvento dei cosiddetti ‘nuovi media’, cioè Internet e le piattaforme social network, ci si ritrova per vari aspetti nell’incertezza e con lo strabismo dei quei primi, pionieristici studi. Anche da parte di accreditati studiosi e prestigiosi ‘addetti ai lavori’ del campo massmediale, capita di sentire analisi e prese di posizione, in merito a questioni eclatanti e con intenso coinvolgimento del pubblico, a dir poco ingenue se non proprio sprovvedute, come lo è stato la recente vicenda dell’artista Fedez e della reazione del politico Salvini (da cui il titolo di questo Volo di Civetta). Pochi nel commentare la questione hanno considerato che i protagonisti sono, invece attrezzatissimi nel “navigare” la comunicazione contemporanea e che dispongono di ‘team’, squadre di collaboratori, specializzatissimi nel farlo, vere e proprie avanguardie del settore. Riesce poi davvero difficile comprendere perché aziende come la RAI, che pure dispone di enormi, simili (almeno di nome) risorse non sia riuscita a districarvisi, uscendone umiliata e battuta!